LA GILDA DEL MAC MAHON - Giovanni Testori
- 29 settembre 2019 Cultura
La letteratura universale
a cura di Stelio Ghidotti
INCIPIT
Accingendomi
a descrivere i recenti e tanto strani fatti accaduti in questa nostra
città, fino ad ora tanto tranquilla, sono costretto mio malgrado a
risalire alquanto indietro nel tempo, e precisamente a taluni
particolari biografici riguardanti un uomo di grande talento, il molto
rispettabile Stepàn Trofimovic Verchovenskij. Questi particolari
serviranno soltanto di introduzione alla cronaca dei fatti, che ho più
sopra promesso. La storia che ho in animo di narrare, è ancora in là nel
tempo.
Diciamolo
subito: tra di noi Stepàn Trofimovc recitava di continuo una sua parte
speciale, civile, per così dire, e amava questa sua parte
appassionatamente, a tal punto che penso non potesse vivere senza
recitarla. Non che voglia paragonarlo a un attore sulla scena; Dio me ne
guardi, tanto più che io stesso ne ho grande stima. Doveva esser tutta
questione d’abitudine, o, per meglio dire, di nobile e incessante
inclinazione, sin dall’infanzia, per il dolce sogno della propria bella
posizione civile. Per esempio, amava straordinariamente la propria
condizione di “perseguitato” e diciamo pure di “esule”. In tutte e due
queste parolette c’è una sorta di classico splendore, che l’aveva subito
e definitivamente sedotto, e che, innalzandolo a poco a poco, nella
considerazione di se medesimo, nel corso di tanti anni, lo aveva portato
infine sopra un piedistallo assai alto e gradito al suo amor proprio.
FINIS
Varvara
Petròvna si lanciò su per la scaletta; Dasa la seguì; ma appena entrata
nel solaio, lanciò un urlo e cadde priva di sensi.
Il
cittadino del cantone di Uri penzolava dietro la porticina. Sul
tavolino giaceva un pezzetto di carta con queste parole scritte a
matita: “Nessuno ne ha colpa, soltanto io”. Lì vicino, sul tavolino,
c’era anche un martelletto, un pezzo di sapone e un grosso chiodo, che
servivano evidentemente di riserva. Il forte spago di seta, che Nikolàj
Vsèvolodovic aveva usato per impiccarsi, chiaramente scelto e preparato
prima, era stato abbondantemente insaponato. Ogni particolare dimostrava
una perfetta predeterminazione, un’assoluta lucidità fino all’ultimo
minuto.
I nostri medici dopo l’autopsia esclusero assolutamente, con insistenza, l’ipotesi della follia.