LUCE DEL MATTINO

Di Antonio Mecca

Per lei, la religiosità della sua vita aveva rappresentato da sempre una lunga, costante, luce del mattino. Hai presente quando la natura si risveglia alle prime luci dell'alba di un mattino rosato, e tutto ciò che ti circonda sa di fresco, di pulito, e di fiduciosa speranza nel giorno appena nato e ancora tutto da vivere? Allora ti guardi intorno, grato di essere al mondo -in quel mondo- e di capire sia pur vagamente una piccola parte almeno di quell’immenso, meraviglioso ingranaggio che muove le cose. E ti chiedi chi è l’orologiaio che ha costruito e caricato il tutto, e per quanto tempo ancora la carica seguiterà a funzionare.
Lei la potevi incontrare mentre a passo di carica andava o tornava dall’istituto religioso nel quale era ospitata, un bell’edificio di faccia al lago e di fianco a un giardino famoso nel mondo per la sua soave bellezza. Quel giardino che soprattutto in primavera elargiva i suoi effluvi di profumi inebrianti, ubriacanti quasi, come se provenissero da una grande, immensa coppa riservata a un dio pagano, quel Dioniso che cantava la bellezza della natura e dell’amore.
Era stata fortunata, Armandina. Aveva avuto il privilegio di vivere (perché vivere rappresenta pur sempre un privilegio) in una porzione di paradiso terrestre che rappresentava la piccola parte di un tutto che in vita ci è dato di intravedere solo di tanto in tanto.
Lei ci credeva, in questo, e si preoccupava con tutte le sue forze di trasmetterlo ai suoi adorati bambini là dove prestava la sua opera di maestra d’asilo. Perché i bambini rappresentano la speranza, e si ha il diritto di sperare. Anche se sapeva benissimo che poi, crescendo, avrebbero perduto insieme all’infanzia anche l’innocenza, non potevi fare a meno di sperare. Sperare in futuri uomini e donne moralmente sani, che spargeranno il seme della bontà che già qualcuno aveva in precedenza gettato loro. Lei che non aveva potuto avere figli propri, si prodigava con tutto l'amore possibile verso quelli avuti dagli altri cercando di indirizzarli sulla giusta strada, su quella strada diritta e senza curve né sentieri nascosti che pur vedendola ci ostiniamo a non percorrere e a deviare da essa i nostri passi e spesso deviare anche la nostra stessa vita. Perché l'essere umano è fatto così, e prima di imparare deve picchiare la testa contro numerosi ostacoli. 
Era così bello avere a che fare con i bambini… Bambini che lei vedeva sempre belli anche quando belli non lo erano poi così tanto, ma che ugualmente tali le apparivano per come agivano e reagivano alla vita che da poco avevano ereditato.
Naturalmente anche per lei c'erano stati i preferiti, quelli che più di altri le erano simpatici e che più la divertivano, la commuovevano, la emozionavano; con ognuno però si comportava sempre in maniera giusta, materna. Non poteva di certo considerarli alla stregua di amorfi agnellini che ben raramente si distinguono dal resto del gregge. Ognuno aveva, dei suoi adorabili piccoli, la propria personalità; anche quando uno sembrava esserne privo perché troppo timido, o malinconico, o solitario.
Allora lei cercava con il suo sorriso trascinante e la sua vitalità travolgente di renderli partecipi al gioco dei compagni, piccoli giochi di quel grande gioco futuro che la vita avrebbe rappresentato loro. I biondi capelli che ogni tanto si intravedevano fuoriuscire dalla cuffia ben si sposavano con gli occhi azzurri simili al colore del cielo quando è libero, privo di nuvole, nuvole in apparenza candide ma che sono foriere di pioggia, fulmini, tuoni. Il suo cielo interno proveniva dal candore della sua anima, e i fulmini che suo malgrado poteva scagliare era il tuo cuore a riceverli

A seconda dell'età di chi la stava guardando variava il sentimento da lei suscitato e che sempre, per ognuno, rappresentava una cosa piacevole. Non si sentiva meno donna soltanto perché ricoperta da una ruvida armatura di stoffa. Lei la considerava un’armatura, perché considerava sé stessa una soldatessa, un militare che milita nell'esercito di Dio e che invece di una lancia brandisce una croce e al posto della spada impugna il Vangelo. 
Era così bello leggere quelle pagine che raccontavano di un mondo così lontano, così semplice e ancora così vicino alla creazione dell’Uomo. Uomo. Non pensava mai che anche nel suo campo il maschilismo regnava sovrano? Perché Dio doveva essere raffigurato nelle sembianze di un uomo? Dio che non è né uomo né donna, ma entrambi e al di sopra di entrambi. Dio è un’Entità che non si poteva né forse si doveva svelare, perché lo shock provocato dalla rivelazione sarebbe stato talmente forte da non permettere più di continuare a vivere come prima, come se niente fosse accaduto. Ci dovevi arrivare da solo, alla Verità, attraverso tante piccole verità che di volta in volta ti si andavano rivelando per poi, alla fine (che sarebbe stato l'Inizio), approdarci.
Lei, suor Armanda, capiva soprattutto una cosa: che fare del bene significa stare bene a propria volta, che l'anima sgravata dal peso del peccato si solleva più facilmente verso il Cielo, restando lì in alto come un pallone aerostatico segnalatore a indicare la via superiore da seguire, una stella luminosa che è un monito ad agire per il meglio. 
Il guaio è che molti di noi lo sguardo raramente lo sollevano per ammirare il cielo. È la strada ad attirarci di più, perché lo sporco è una potente calamita oltre che calamità naturale. Ci seduce come il fango seduce i maiali. Che sia, questo avvicinarci al fango, un ritorno ancestrale al fango dei primordi, quando fummo plasmati proprio con questo elemento? 

Armandina fissava spesso il cielo, e forse proprio per questo il suo volto era così bello, così puro. Aveva il riflesso dell'acqua quando rispecchia il cielo, umanizzando con il suo elemento terrestre la bellezza superiore che la sovrasta. Lo sguardo lo abbassava solo in chiesa, quando pregava a contatto con il Mistero. A volte ci si recava da sola, frequentando non una chiesa in particolare ma diverse. Le piaceva starsene immersa in quell’ambiente sacro, dove i suoni esterni arrivavano attutiti, ovattati, e il pensiero vagava fra le navate evocando e avocando a sé una invisibile Presenza che gli occhi non vedevano ma l’anima percepiva. Tutto, lì dentro, acquistava una sua positività. Sembrava, la chiesa, un ambiente depurato dal male, un grembo materno dove si tornava bambini immersi in un aereo liquido amniotico e alimentati da un invisibile cordone ombelicale. Ci sarebbe rimasta, in quel luogo, per ore, se solo avesse avuto il tempo per farlo. 
Ma altri doveri la chiamavano. L'asilo, l'ospedale, le famiglie indigenti. C'era sempre tanto da fare, tanto da ascoltare, tanto da parlare. Ma lei, pur avvertendo la stanchezza, mai se ne lamentava. 
La sua anima di ragazzina conservava intatto lo stesso entusiasmo degli inizi, il suo essere donna donava il meglio che una donna quando è al suo meglio generalmente offre: bellezza, simpatia, dolcezza, forza morale. Il sedurre e l’ammaliare che molte donne recano nel proprio DNA non le era mai appartenuto. Le piaceva molto leggere, soprattutto e specialmente libri scritti da donne ma non per sole donne; perché in loro ritrovava sé stessa, perché nella donna c'è una sintonia immediata con le altre donne che la porta a confrontarsi e a confortarsi con chi appartiene al suo stesso sesso, per affiancarsi a loro o affrancarsi da loro.
Nel leggere le opere di scrittrici cattoliche o laiche, Armandina provava ammirazione e, forse, il leggero rimpianto di non essere come loro. Mentre loro, se l’avessero conosciuta, avrebbero provato ammirazione e, forse, il rimpianto di non essere come lei era.
Gli anni erano passati, le stagioni si erano succedute alle stagioni, stagioni che a volte erano state come stazioni: stazioni di una Via Crucis che inevitabilmente molti di noi sono costretti a percorrere, ma che in lei -pur con qualche rimpianto, pur con qualche rimorso- erano stati somatizzati dal suo carattere ottimista. Perché dentro di lei era sempre stata presente una luce che l’aveva purificata dai mali del mondo e che ancora traspariva. Perché la sua vita era stata sempre una lunga, costante, luce del mattino.

L'INGLESE CANTANDO

Milano in Giallo

di Albertina Fancetti, Franco Mercoli, Alighiero Nonnis, Mario Pace
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Com'è bella Milano

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