UNA RISPOSTA REALISTICA IN PERIODO DI CRISI
- 02 agosto 2019 Cronaca
Un po’ più di occupati, un pò meno di ore lavorate, un po’ meno di retribuzione, ma senza crescita si rischia il collasso
I dati Istat relativi a Giugno indicano che la (lieve) crescita
occupazionale si è bloccata al mese di maggio, adesso anzi cala
leggerissimamente (- 6.000 unità). La curva dell'occupazione, che aveva
ripreso a salire dopo il calo del secondo semestre 2018, si è nuovamente
fermata.
Da notare che la fine della crescita occupazionale è essenzialmente
dovuta al calo del numero dei lavoratori autonomi (- 58.000 rispetto a
maggio, pari a - 1,1%) non compensato dall'aumento modesto dei
subordinati (+ 0,3%). Il che però mette in luce il fatto che la crescita
dei mesi precedenti era robustamente sostenuta dall'aumento dei
lavoratori autonomi (+0,15% mediamente negli ultimi 3 mesi) molto vicino
a quello dei dipendenti (+0,23%). L'aumento dei dipendenti a giugno
resta nello stesso ordine di grandezza (0,3%) ma viene a mancare il
contributo degli autonomi. Nella sostanza, per quanto concerne i
dipendenti, tra il secondo semestre 2018 e il primo 2019 c'è una
crescita reale anche se non impetuosa ( + 1%).
Anche il processo di riequilibrio tra contratti stabili e a termine,
iniziato con le incentivazioni del Jobs Act (2015) pare aver raggiunto
la conclusione: il dato di giugno 2019 su maggio mostra un incremento
uguale per entrambe le tipologie (+ 0,3%). Anche il dato del secondo
trimestre rispetto al primo evidenzia tassi di crescita simili (+ 0,8% i
contratti stabili, + 0,6% quelli a termine). Naturalmente i numeri
assoluti delle due tipologie contrattuali restano ben distanti: i
contratti stabili sono 15.053.000, e hanno ormai superato i numeri ante
crisi (non sono comunque mai scesi sotto i 14.428.000, nonostante i
media rappresentassero un paese fondato sul precariato...) e quelli a
termine 3.072.000, circa 900.000 in più del periodo precrisi. Il fatto
che gli incrementi percentuali delle due tipologie sia sostanzialmente
analogo dimostra che, almeno nell'attuale congiuntura e più
probabilmente in termini strutturali (come in tutta Europa) esista uno
spazio incomprimibiledi lavoro cui le imprese ritengono opportuno far
fronte con contratti flessibili (quantificabile mediamente tra il 15% e
il 20%). Non c'è Decreto Dignità che tenga: la Job Property non esiste
più e non può certo essere riportata in vita ope legis.
Un altro dato negativo, che però viene oscurato dal calo (- 0,1%) del
tasso di disoccupazione, è che il tasso di inattività (persone che non
lavorano e non cercano lavoro) è inscalfibile: 34,3% delle persone in
età da lavoro, come ormai da 8 mesi e + 0,2% rispetto a un anno fa. La
sensazione, del resto in linea tutti i dati sopra citati, è che sul
piano occupazionale si sia arrivati al fondo del barile, almeno nella
situazione data e con gli strumenti esistenti. Del resto con il PIL
ormai proteso alla crescita zero è difficile pensare che si creino le
condizioni per un aumento della partecipazione al Mercato del Lavoro.
Viceversa ci sono i segnali che stia ripartendo un riflesso classico
del sistema economico in tempi di crisi o stagnazione: la diminuzione
delle ore lavorate ed eventualmente la loro redistribuzione tra gli
addetti. Partiamo da un dato (dicembre 2018) che vede il monte ore
lavorate annuo inferiore del 5,8% a quello del 2008, nonostante gli
occupati siano più numerosi: l'INPS informa che a Giugno 2019 le ore di
Cassa Integrazione autorizzate sono state del 42,6% più numerose di
quelle di 12 mesi fa, e in maggior parte di CIG Straordinaria, quindi
non di breve termine. A fine 2019 il monte ore lavorate sarà ancora
sceso sensibilmente, con effetti certamente sulle retribuzioni e poi,
forse, anche sull'occupazione stessa.
Milano, 1° agosto 2019
(a cura di Claudio Negro)
(a cura di Claudio Negro)