AMAZZONE NAPOLETANA 1

La ragazza filava in sella alla sua Honda cromata, i lunghi e biondi capelli che catturavano i riflessi del sole trasformandole la chioma in un diadema d'oro, la bocca, dipinta da un tenue rossetto, simile a uno spicchio di alba rosata, dischiusa sui candidi denti. Via Caracciolo era il consueto magma di metallo nel quale la grossa moto sfrecciava a suo agio, docile mostro felicemente domato dalla bellezza dell’amazzone che lo cavalcava, sicura di sé e perfettamente inserita in quella città che era la sua città, fra quella gente che era la sua gente. Alla sua destra la compatta schiera di alberghi, gli uni attaccati agli altri come denti in una bocca, pareva il ghigno scoperto delle fauci di coloro che avevano sbranato la città finendo per ridurla a brandelli, ferita e troppo debole ormai per potersi risollevare con le sole sue forze o con la forza del sole, quel sole che fungeva da analgesico per i tanti mali che affliggevano la popolazione. 

Sulla sinistra il mare, verde e lucente come gli occhi di un gattaccio malvagio, mandava le proprie onde orlate di schiuma simili a fauci schiumanti di bava a mordere inutilmente la riva sassosa. All'orizzonte la scura mole del Vesuvio faceva pensare a un dio pagano da tempo defunto la cui passata potenza ancora incute timore.

La ragazza nell’approssimarsi a un semaforo rosso rallentò per poi fermarsi. Il suo esempio fu però seguito da pochi; infatti la maggior parte dei mezzi si limitò a diminuire la propria velocità e proseguire indisturbata. Alcuni pedoni temerari si azzardarono ad attraversare la strada com’era loro diritto, facendo lo slalom fra le auto impazienti. E fu in quel momento che il fatto avvenne. Una motoretta si avvicinò a una donna intenta ad attraversare; a bordo si trovavano due ragazzini. Quello seduto dietro il guidatore si sporse, strappando la borsetta dalla cinghia penzolante dalla spalla della donna; la motoretta schizzò quindi via come la pallina di un flipper, zigzagando fra le auto coi medesimi scatti secchi e rapidi. La donna derubata si mise a urlare con voce acuta, straziata, da un antico lamento risalente alla notte dei tempi e dei templi greci che l'avevano generata, e che pareva vorticare fra le sue colonne e i capitelli invocando giustizia divina. Fu quella terrena a intervenire, dando gas alla sua moto e gettandola all’inseguimento. Accelerando, la ragazza notò con soddisfazione che il motorino andava inesorabilmente perdendo terreno, per poi tagliare di scatto alla sua sinistra e infilare un ripido sentiero che recava alla spiaggia. Imboccò a sua volta il sentiero, preparandosi a frenare per mettere mano alla pistola d’ordinanza. I due mariuoli sembrarono perdere il controllo del loro mezzo, che sbandò facendo schizzare il pietrisco da sotto le ruote. 

- Fermi - intimò la donna. - Polizia!

Stava per sfilare l’arma dall’interno della giubba per sparare un eventuale colpo intimidatorio, quando udì il rombo del motore. Da una macchia di cespugli alle sue spalle un’auto di grossa cilindrata le si catapultò addosso, travolgendo la parte posteriore della moto. La poliziotta cadde a terra rotolando su sé stessa, le immagini che le roteavano negli occhi come elementi di una giostra impazzita, la sabbia che le violava il viso, il duro suolo che percuoteva le sue tenere membra. Gli sportelli della macchina si aprirono: due uomini ne schizzarono fuori. Uno afferrò la ragazza per le gambe, l'altro per le braccia. Insieme la sollevarono da terra scaraventandola sul sedile posteriore dell'auto, dove un terzo uomo aspettava con in mano uno straccio imbevuto di cloroformio. Lo straccio le venne sbattuto sul volto, e premuto con brutalità fino a quando ella smise di divincolarsi.

Nel frattempo i due ragazzi serviti da specchietto per le allodole avevano raddrizzato il loro motorino ed erano ripartiti, abbandonando al loro compito i complici e al suo destino la ragazza. La macchina si mosse di lì a poco, sgommando con rabbia e artigliando la terra con ferocia. La poliziotta venne sistemata con la testa appoggiata sulla spalla dell’uomo che l'aveva narcotizzata, in maniera da assumere la classica posizione dell’innamorata felicemente addormentata perché pienamente soddisfatta dal suo ganzo. La corsa non durò a lungo. Un quarto d’ora dopo, sulla strada che reca a Posillipo, l’auto svoltò in una viuzza ed entrò nel box di una villa a due piani. La saracinesca venne a questo punto calata con violenza, e il motore dell’auto spento. I tre compari scesero, uno di essi afferrò la ragazza per i capelli e la trascinò brutalmente sul duro e sporco pavimento fino ai piedi di un uomo che lì attendeva, il volto segnato dalle stigmate della violenza e dalla ferocia del comando. Muovendo il piede dapprima quasi timidamente, come a saggiare la temperatura dell'acqua prima di decidere se tuffarsi o meno, e poi con decisione, prese a coprire di calci il corpo della ragazza fino a quando questa non rinvenne.


Antonio Mecca

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