BELLEZZA E PULIZIA MORALE COME ACQUA PURA DI SORGENTE

Quando una donna la possiede ti conquista completamente e per sempre

L'aveva vista transitare in fondo alla stradina che si immette in via Torino. Proveniva dalla parte destra, forse dalla zona Navigli, forse diretta in piazza Duomo. Era una ragazza giovane, capelli corti, si era fermata volgendo lo sguardo verso i tavoli del ristorante dove un giovane era seduto per terminare il pranzo e sperava: per dirla alla maniera di James Hadley Chase, che non fosse  il pranzo a finire lui.
Non avrebbe saputo dire se la ragazza stesse osservando lui o l'insegna del locale. L'uomo ovviamente sperava che fosse lui ad essere osservato, e che la decisione di percorrere la stradina che conduceva ai tavoli esterni fosse dipesa dalla curiosità che la giovane donna aveva provato nel vederlo. Gli concesse un'occhiata, alla quale lui rispose con un sorriso. Il tavolino dietro di lui era libero, lei si accomodò. L'uomo osservò i suoi occhi: azzurri, intensi, belli. Un cameriere le si avvicinò porgendole il menu. Lei scelse subito: un'insalata. Il suo italiano aveva un accento straniero, dal timbro russo. D'altronde lo stesso viso della ragazza: di carnagione chiara, chiari gli occhi, i lineamenti particolari che potevano risalire al ceppo slavo, stavano a testimoniarlo. L'uomo cominciò a parlarle, e lei pur non comprendendo l'italiano cercò di farsi invece capire rispondendogli in francese, una lingua che un tempo molti russi della nobiltà parlavano e che lui pur avendola studiata a scuola, ugualmente risultava ostica. Comunque fosse, tra quello che riuscivano a capire e quello che pensavano di intuire, i due trascorsero una piacevole mezz'ora. Poi, a pranzo concluso, l'uomo si offrì di pagare anche il conto della sua bella vicina, ma lei si oppose.
Saldati i loro conti, si avviarono insieme lungo la stradina che sfociava in via Torino, poi a sinistra attraversarono piazzale Cordusio imboccando via Dante. La mole del castello sforzesco svettava rossa per via del sole sotto l'azzurro del cielo, la base velata come la faccia di una donna islamica dagli zampilli di una fontana simile a una torta nuziale a più strati. Il verde del parco che circondava il castello come la corona spodestata di un re decaduto pareva riproporre i colori della bandiera italiana con la predominanza del rosso. 
Il cortile interno, ampio e pulito, offriva la possibilità di passeggiare, come  aveva fatto anche Leonardo nel periodo in cui lavorava per Ludovico il Moro. La ragazza osservava il luogo con sguardo gioioso, e lui con il riflesso dello stesso sguardo. Era uno sguardo che sembrava rendere migliore chi lo riceveva, e al quale l'animo più che volentieri si assoggettava. Lui le parlava, anche se lei comprendeva poco o nulla. Ma le piaceva l'intensità del timbro della voce. Affiancando, dopo avere attraversato il cortile, l'ingresso del museo sforzesco l'uomo propose alla ragazza di visitarlo insieme, e lei accettò. Entrarono, soffermandosi pressoché davanti a tutte le meraviglie: sculture, quadri, gioielli che quel luogo offriva. La violenza dei tempi andati era finita, e ora tutto appariva splendido. C'erano anche, posate su solide basi di legno, grosse campane di bronzo, che lui picchiettò con le nocche della mano, provocando in lei un'estensione del proprio sorriso. E quell'estensione fu per lui come l'estensione dell'elastico di una fionda che serve a lanciare il suo pensiero lontano, verso cieli azzurri e luminose speranze.
Alcune sale più in là trovarono altre campane; e questa volta fu lei a picchiettarle con le nocche, rivolgendogli un sorriso di complicità e stravolgendogli l'anima. Uscirono dal castello per dirigersi alla terrazza che si affaccia sul parco Sempione, e da qui entrarono nel verde parco ricco di alberi e di panchine, e quella discesa nel verde sembrò in qualche maniera purificarli.
Si fermarono al bar, decisero di sedersi e ordinarono due coca-cola. L'uomo, gasato come e anche più della bevanda americana continuava a parlare, tanto che la ragazza sorridendo a un certo punto disse, in francese:
"Tu parli, parli, ma io non capisco nulla di quello che dici". Lui riuscì a capire il significato di quella frase, o perlomeno il senso. Per cui si diede una calmata, limitandosi a guardare il parco, le persone, e lei: i suoi occhi, la sua bocca, le orecchie aggraziate come conchiglie. Convinto che avrebbe potuto sentire il mormorio del mare, e comprenderne anche il suo profondo mistero. 
Nina, si chiamava la ragazza. In Russia lavorava come disegnatrice presso una Casa di moda, e spesso seguiva in varie città nazionali ed estere le sfilate. A un certo punto disse che era ora di andare, perché alla sera doveva partecipare a una sfilata. Il suo hotel si trovava in corso Buenos Aires, per cui se lui la voleva accompagnare... Presero la metropolitana, scesero in piazza Lima. Da qui percorsero un duecento metri, fino a raggiungere l'albergo a tre stelle. Lei gli chiese di aspettarla qualche minuto. Dopo un quarto d'ora eccola riapparire con indosso una gonna azzurra che riprendeva il colore dei suoi occhi ma non la loro grande bellezza. Aveva in mano una cartelletta con dei bellissimi disegni che ritraevano ragazze belle con indosso vestiti diversi.
- Sono molto belli - si incantò lui. - Li hai disegnati tu?
Lei capì, e rispose di sì. Poi si scambiarono gli indirizzi, promettendo di scriversi. Quindi scusandosi la ragazza salì su un taxi bianco come la campagna innevata del suo grande e bellissimo Paese. Da allora passarono dieci anni, e mai lei si dimenticò di scrivere: in francese, ovviamente, e lui di risponderle o di scriverle per primo. Nina rappresentò per quell'uomo la bellezza e la pulizia morale che a volte una donna possiede e quando c'è ti possiede completamente, eternamente; rinfrescandoti come il contatto di acqua pura di sorgente.  

Antonio Mecca

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