I Demoni - Fedor Dostoevskij

A cura di Stelio Ghidotti

INCIPIT

Accingendomi a descrivere i recenti e tanto strani fatti accaduti in questa nostra città, fino ad ora tanto tranquilla, sono costretto mio malgrado a risalire alquanto indietro nel tempo, e precisamente a taluni particolari biografici riguardanti un uomo di grande talento, il molto rispettabile Stepàn Trofimovic Verchovenskij. Questi particolari serviranno soltanto di introduzione alla cronaca dei fatti, che ho più sopra promesso. La storia che ho in animo di narrare, è ancora in là nel tempo.
Diciamolo subito: tra di noi Stepàn Trofimovc recitava di continuo una sua parte speciale, civile, per così dire, e amava questa sua parte appassionatamente, a tal punto che penso non potesse vivere senza recitarla. Non che voglia paragonarlo a un attore sulla scena; Dio me ne guardi, tanto più che io stesso ne ho grande stima. Doveva esser tutta questione d’abitudine, o, per meglio dire, di nobile e incessante inclinazione, sin dall’infanzia, per il dolce sogno della propria bella posizione civile. Per esempio, amava straordinariamente la propria condizione di “perseguitato” e diciamo pure di “esule”. In tutte e due queste parolette c’è una sorta di classico splendore, che l’aveva subito e definitivamente sedotto, e che, innalzandolo a poco a poco, nella considerazione di se medesimo, nel corso di tanti anni, lo aveva portato infine sopra un piedistallo assai alto e gradito al suo amor proprio.

FINIS

Varvara Petròvna si lanciò su per la scaletta; Dasa la seguì; ma appena entrata nel solaio, lanciò un urlo e cadde priva di sensi.
Il cittadino del cantone di Uri penzolava dietro la porticina. Sul tavolino giaceva un pezzetto di carta con queste parole scritte a matita: “Nessuno ne ha colpa, soltanto io”. Lì vicino, sul tavolino, c’era anche un martelletto, un pezzo di sapone e un grosso chiodo, che servivano evidentemente di riserva. Il forte spago di seta, che Nikolàj Vsèvolodovic aveva usato per impiccarsi, chiaramente scelto e preparato prima, era stato abbondantemente insaponato. Ogni particolare dimostrava una perfetta predeterminazione, un’assoluta lucidità fino all’ultimo minuto.
I nostri medici dopo l’autopsia esclusero assolutamente, con insistenza, l’ipotesi della follia.

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