La biografia di Hemingway scritta da Fernanda Pivano

Pubblicata nel 1985, ci fa conoscere lo scrittore americano e la scrittrice italiana

Fernanda Pivano conobbe Hemingway nell'ottobre 1948, quando lei aveva trentuno anni e lui quarantanove (come gli omonimi 49 racconti) essendo nato: a Oak Park, nell'Illinois, il 21 luglio 1899. Da bambino il futuro scrittore era solito ascoltare con avidità i discorsi degli adulti, in particolare le storie riguardanti gli animali. Forse il suo machismo nacque come rivalsa alla stupidità della madre, che da bambino lo fece vestire con abiti da bambina, dalla storia del costume degli anni Trenta e Quaranta. In Italia Ernest Hemingway venne per la prima volta nel maggio del 1918, dopo essersi arruolato nell'esercito americano in qualità di autista di ambulanza, nella Quinta Sezione della Croce Rossa americana. Fernanda scrisse che osservò tutto con l'occhio da reporter e con l'occhio da poeta, che più tardi gli tornarono utili per scrivere uno dei suoi capolavori: "Addio alle armi", uscito nel 1929, anno della grande crisi americana. Venne ferito dalle schegge di un mortaio e trasportato a Milano dove giunse il 17 luglio, all'alba. Fu qui che conobbe l'infermiera Agnes von Kurowsky, poi trasfigurata nel romanzo in una commistione tra lei e la sua prima moglie Hadley sotto il nome di Catherine Barkley. In quel periodo scrisse al padre: "Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto... E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse." Tutto questo scritto a soli 19 anni. L'ancora giovane uomo: 49 anni, e la ancora giovane ragazza: 31, simpatizzarono subito, e non solo perché la Pivano gli aveva tradotto "Addio alle armi" in tempo di guerra, rischiando la sua vita o perlomeno la sua libertà, ma anche perché Nanda era non solo giovane, ma anche bella, simpatica e intelligente. Nel rispondere alla lettera dove Fernanda si dichiarava felice per il fatto che Hemingway aveva vinto il premio Nobel per il suo romanzo "Il vecchio e il mare", così lo scrittore le scrisse il 23 novembre 1954: "Cara dolce buona bella Nanda, si sono tutti agitati per questo premio più di me. Io ne avevo sentito parlare tante volte e poi non era mai venuto e quando l'ho ricevuto non aveva più significato. Forse sono morto troppe volte in Africa per preoccuparmi di onori mondani o diciamo accademici. So che ho torto ma è così. Somiglia troppo a una medaglia d'oro postuma. Meglio averla d'argento e non rompersi le interiora e la schiena e la testa..." Hemingway non si recò a Stoccolma per ritirare il premio di 35.000 dollari perché non aveva la salute necessaria per poterlo fare. Il denaro gli venne consegnato di lì a poco da un inviato della Casa Reale svedese. Inviò un suo messaggio che venne letto e che diceva fra l'altro: "Scrivere, nell'ipotesi migliore, è una vita solitaria... Lo scrittore cresce nella sua statura pubblica, mentre nasconde la sua solitudine e spesso la sua opera si deteriora. Perché fa il suo lavoro da solo e se è uno scrittore abbastanza bravo deve affrontare ogni giorno l'eternità o la mancanza di essa. Per un vero scrittore ogni libro è un inizio nuovo in cui tenta di raggiungere qualcosa che è irraggiungibile o che altri hanno tentato senza riuscire..."
L'amicizia tra lui e la Pivano si protrasse fino alla morte dello scrittore avvenuta il due luglio 1961, dopo che i suoi ultimi anni erano stati funestati dalla depressione conseguente alla malattia che ne aveva devastato il fisico un tempo imponente. Sebbene non più in salute già da anni, lo scrittore continuava a scrivere romanzi, alcuni dei quali pubblicati incompleti dopo la sua morte, quattro della prima ora tradotti da Fernanda Pivano, come avvenne per "Di là dal fiume e tra gli alberi". Su questo romanzo Raymond Chandler, che lo aveva letto quando il libro uscì nel 1950, scrisse a un amico:
"Francamente, non è la cosa migliore che abbia scritto ma è pur sempre di gran lunga superiore a quel che saprebbero scrivere i suoi detrattori... Immagino che questi pretenziosetti che si autodefiniscono critici siano convinti che non avrebbe dovuto scrivere il libro. Sono arcisicuro che io non l'avrei fatto. Ed è questa la differenza tra un campione e un lanciatore di coltelli. Il campione può perdere temporaneamente o definitivamente la sua grinta, non lo sa; ma quando non è più in grado di lanciare bene in alto la sua palla, allora lancia il proprio cuore. Insomma, lancia qualcosa, non si ritira nello spogliatoio a piangere".   
Hemingway non fu sempre all'altezza, come uomo, di quanto lo fu come scrittore. Ebbe quattro mogli e alcune amanti, fornendo alle prime e alla prima in particolare motivo di sofferenza per l'ingiusto trattamento riservato. Inoltre fu ingiusto anche nei confronti di illustri colleghi quali Fitzgerald, Dorothy Parker, Sherwood Anderson che pur avendolo aiutato in passato dovettero sorbirsi poi i suoi scherzi talvolta pesanti oltre che ingiusti. E la sua passione per la tauromachia, la caccia e la pesca non poteva trovare sodali molte persone, tra le quali la sua amica italiana Fernanda Pivano. Ciononostante noi un artista dobbiamo valutarlo in quanto tale, sapendo distinguere l'arte dal suo comportamento di uomo o di donna. Perché, come lui stesso scriveva in una lettera del 24 giugno 1952, "C'è sempre qualcosa di vero anche nelle cose immaginarie". E questo non può non provocare  motivo di rispetto. 
Antonio Mecca

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