LA CODA DEL DRAGO - 1

L'uomo seduto di fronte a me, nell'ufficio della mia agenzia di Hollywood, era un individuo sulla quarantina, di pelle olivastra e scuro di capelli, con l'aspetto dimesso dell'emigrante approdato in America per necessità, come del resto tutti gli emigranti. I denti bianchissimi risaltavano nella bocca spesso semiaperta, gli occhi neri dalla luce intensa emanavano una luce offuscata dal dolore che doveva ottenebrarlo costantemente. Reggeva il cappello fra le mani scure, un cappello di lavorante dimesso come il suo proprietario. Le unghie non erano troppo curate né troppo pulite. Erano le unghie di un uomo abituato a maneggiare la terra, che in effetti quell'uomo era un giardiniere.

- Senòr Miller - disse con voce sommessa, - mi sono permesso di venire da lei perché ho bisogno di affidarmi a un investigatore privato, per la mia bambina… Angela, che adesso è un angelo anche lei.

L’accento spagnolo sembrava classificarlo per quello che di sicuro era: un messicano emigrato per cercare lavoro nella vicina California, che in un tempo neppure troppo lontano faceva parte del Messico come il New Messico, il Texas, l’Arizona.

- Mi dica pure tutto, mister…

- Gutierrez. Luis Gutierrez.

- Mister Gutierrez. Cosa ha bisogno da me? Sono un investigatore privato.

Le parole parvero smorzarglisi in gola.

-  Angela… la mia bambina… è morta. Uccisa perché stuprata… Mio Dio, non riesco ancora a crederlo…  La mia piccola Angela… 

- Mi racconti tutto - lo invitai comprensivo.

Lui fermò il movimento del cappello in senso orario, per riprenderlo poi in senso antiorario, quasi intendesse tornare indietro nel tempo per intervenire di persona sui fatti avvenuti. E prese a raccontare.

La figlia Angela aveva avuto dieci anni, e dopo essere rimasto vedovo due anni prima l'uomo l’aveva accudita come meglio poteva, continuando a vivere con lei nella loro modesta casa situata in un modestissimo quartiere alla periferia di Santa Barbara, la cittadina dove lui e la moglie Miranda si erano stabiliti dodici anni prima, provenienti da Durango, Messico. Miranda era stata domestica presso alcune famiglie di Santa Barbara, mentre lui: giardiniere provetto, impiegato presso alcune tenute di gente facoltosa. Con la prematura scomparsa della moglie a causa di un tumore, padre e figlia si erano stretti ancora di più l’uno all’altra. Lei, Angela, si era sentita forse nei suoi confronti quasi come una mamma che tentasse di lenire il dolore del padre, e lui al ruolo di padre aveva aggiunto quello di madre.

- Angela era come una donnina che la disgrazia della perdita della mamma aveva caricato di responsabilità più grandi di lei. Si sentiva molto americana nel cuore, ma nell’aspetto invece era molto messicana.

Si interruppe, gli occhi colmi di lacrime. Tolse dalla tasca della giacca di tela un vecchio portafogli di pelle sdrucita, e da questo una fotografia che mi porse. L’inquadratura mostrava il ritratto di una bella bambina con il viso dai lineamenti ispanici, gli occhi simili a quelli del padre ma più belli, non solo perché femminili ma anche perché non ancora privati della speranza che i sogni dei giovani in genere possiedono. Non sorrideva, ma neppure era seria. Vestiva di un abitino semplice, che le lasciava scoperte le gambe nude e abbronzate.

- Quando è stata scattata? – mi informai.

- All'incirca sei mesi fa.

Annuii. Dimostrava in effetti all'incirca l'età riferitami dal padre, ed era stata di certo una bella creatura.

Troppo bella, forse. Gliela restituii.

- Mi racconti con precisione quello che le è accaduto.


Antonio Mecca

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