UN AUGUSTO DELLA LETTERATURA POLIZIESCA

Quando in Italia non si potevano scrivere romanzi gialli

Augusto De Angelis nacque a Roma il 28 giugno 1888, stesso anno di nascita del suo grande collega d'oltreoceano Raymond Chandler, creatore del poliziotto privato Philip Marlowe. Il suo personaggio fu il commissario di polizia Carlo De Vincenzi, operante nella Squadra Mobile San Fedele di Milano. L'esordio avvenne nel 1935 con il romanzo "Il banchiere assassinato", primo di quindici romanzi apparsi nell'arco di otto anni. Invece l'esordio narrativo vero e proprio era avvenuto già nel 1930, quando gli venne pubblicato il romanzo "Robin agente segreto", ispirato come stile a quello del Conrad de "L'agente segreto". Ma fu con la narrativa poliziesca che Augusto De Angelis ebbe successo. Romanzi dal titolo numerico quali "Il candeliere a sette fiamme", "L'albergo delle tre rose", "Il mistero delle tre orchidee" non presentano numeri soltanto nel titolo ma anche nel testo interno, perché il commissario protagonista: giovane e arguto, è una sorta di Maigret italico avvezzo a usare come arma quella affilata della sua intelligenza più che quella affilata di una lama di coltello o quella pesante di una pistola d'ordinanza. De Angelis scrisse molto nella sua breve vita (morì a Bellagio all'età di 56 anni, il 18 luglio - Chandler invece a luglio: il 23, nacque) producendo venti romanzi, quindici commedie, quattro biografie. Quando la buonanima nera, di Mussolini ebbe la bella pensata di proibire alla letteratura poliziesca italiana di narrare di delitti in quel paradiso in terra che la dittatura fascista aveva creato, De Angelis insieme agli altri suoi colleghi dovette arrestare la sua produzione per poi finire arrestato egli stesso nel 1943, a causa di una serie di articoli da lui scritti dal 25 luglio all'8 settembre sulla Gazzetta del Popolo, articoli non certo lusinghieri nei confronti del passato regime che di confronti non ne accettava proprio. Il ritorno inaspettato del fascismo incarnatosi nella repubblica di Salò fece pagare gli oppositori dell'ultima ora; fra questi, lo scrittore romano trapiantato sul lago di Como, che venne incarcerato per poi essere liberato nel 1944 di molto debilitato nel fisico. Come se tutto ciò non bastasse ebbe poi uno scontro con un repubblichino, il quale lo massacrò di botte causandone la morte di lì a pochi giorni. Circa vent'anni dopo: nel 1963, lo scrittore e giornalista Oreste Del Buono futuro curatore dell'Opera Omnia di Chandler ripubblicò presso Feltrinelli un volume comprendente tre romanzi con il commissario De Vincenzi, contribuendo così alla sua riscoperta. Trascorrono altri undici anni e anche la Tv di Stato, nel 1974, contribuisce alla riscoperta di De Angelis e De Vincenzi realizzando tre telefilm tratti da tre romanzi e interpretati da Paolo Stoppa. L'anno successivo si ripeterà l'evento con un'altra serie di telefilm sempre interpretata dall'attore romano. Lo stile di Augusto De Angelis non è uno stiletto intriso di veleno ma di psicologia, dove un antieroe come il commissario De Vincenzi indaga fra le nebbie di Milano e dell'animo umano scoprendo le varie cause che hanno condotto ad altrettanti delitti e scoprendo anche: con il suo fiuto e la sua intelligenza nonché l'esperienza maturata quale funzionario di polizia, il perché di determinati delitti. La nostra società non fu mai - perlomeno fino a una certa epoca - accomunabile a quella Statunitense, la quale essendo dinamica, effervescente, vogliosa di vita e di novità lo era anche nel crimine: violento, spietato, dal grilletto facile (noi invece adesso abbiamo il grillino facile, che la fa facile su tutto). È un dispiacere conoscere quale fu la causa della fine di Augusto De Angelis, e un peccato pensare che se non fosse morto allora la sua carriera di scrittore sarebbe proseguita durante tutto l'immediato dopoguerra e - probabilmente - anche negli anni '50 e forse '60, descrivendo con maestria il boom economico con tutti i suoi picchi ma anche le sue pecche, portatrici di disequilibri che avrebbero sbalestrato il Paese fino ai giorni nostri.

Antonio Mecca

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