UN PARADOSSO MILANESE

Tanta acqua ma niente acquedotti sin quasi alle soglie del ‘900

Per noi milanesi di oggi rappresenta la normalità. Apriamo un qualsiasi rubinetto di casa e possiamo disporre di tutta l’acqua potabile che desideriamo… Almeno per il momento dato che le risorse idriche a livello mondiale sono in costante diminuzione.Ma nella Milano dell’Ottocento non era affatto scontato. La nostra città, da sempre all'avanguardia, fu una delle ultime a costruire un vero e proprio acquedotto.
L’ imponente rete di canali, rogge, fontanili e i Navigli, in sinergia con i numerosi pozzi che attingevano acqua dalla ricca falda freatica, contribuirono con tutte le probabilità al tardivo sviluppo di una rete di acquedotti cittadina.
L’acqua potabile si attingeva da pozzi profondi dai 5 ai 15 metri; più profondo era il pozzo più probabilità c’erano che l’acqua fosse pulita. Ma Milano era stata costruita su un terreno alluvionale e le acque di superficie filtravano spesso nel sottosuolo inquinando le falde meno profonde con conseguente rischio di epidemie.
Nel 1781 a ogni proprietario di case venne imposto un controllo periodico dei pozzi; se questo si rifiutava, dato che le spese erano a carico suo, il Comune eseguiva i lavori mettendogli poi fuori la parcella.
Ma giunti quasi alla metà del XIX secolo, a Milano non v’era ancora interesse a sviluppare una rete idrica e moderna. Non c’erano le nostre famose vedovelle, apparse sul finire degli anni 20 del Novecento, e nemmeno le fontane; l’unica era quella del Piermarini in piazza Fontana (appunto), di quasi cent’anni prima. Nel 1834 l’assessore De Cristoforis ci aveva provato, proponendo di scavare una decina di nuovi pozzi dalle parti di Porta Orientale e convogliarne l’acqua in centro per costruire nuove fontane e raggiungere gli edifici, ma senza successo.
In un suo viaggio a Milano del 1838, Adolphe Georges Gueroult, letterato e politico francese, riferì che la popolazione presentava spesso una “ tinta malaticcia e terrea ” (stessa cosa oggi ma per lo smog) e aveva notato parecchie persone affette da nanismo o addirittura deformi. Nel 1843 Il Consolato francese chiese conto di quella relazione all'Istituto Lombardo di Scienze; una commissione composta da un medico e due chimici analizzò l’acqua di 17 pozzi presentando gli esiti nello stesso anno. Saltò fuori che praticamente ovunque era stata riscontrata traccia di materia organica ma, siccome i francesi ci detestano e ci criticano sempre, la scrofola e rachitismo che affliggevano i milanesi, erano da attribuirsi alle misere e precarie condizioni igieniche delle loro abitazioni e non ad acque contaminate. Peccato che un anno più tardi Angelo Bellani, studioso di fisica, inventore e meteorologo, fece notare che nelle acque di Milano filtravano “ cloache e immondezze di sorta”.
Nel 1856 il sempre agguerrito De Cristoforis propose di collocare in piazza dei Mercanti e in tutte le case di nuova costruzione delle pompe idrauliche ma nel 1859 la situazione ancora stagnava come l’acqua dei pozzi e dei canali cittadini.
L’inquinamento dell’acqua potabile fu una piaga che ci portammo dietro per quasi tutto l’Ottocento e il Comune preferì provvedere di volta in volta su segnalazione piuttosto che sviluppare un piano generale di risanamento.
Dopo le solite diatribe, litigate e progetti finiti nel dimenticatoio, si dovrà attendere il 1888 con lo scavo di due nuovi pozzi prnofondi 145 e 88 metri dalle parti dell’Arena che avrebbero garantito un acqua incontaminata e, un anno più tardi (lo stesso del piano Beruto), sarà finalmente costruito il primo impianto di pompaggio che approvvigionerà il nuovo quartiere vicino al Castello.

Riccardo Rossetti
Nella foto: Lavandaie al lavoro roggia Boniforte - via Argelati 

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