L’Esposizione universale è finita

Il bilancio di un lungo viaggio

Il 31 ottobre, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e in un tripudio di fuochi d’artificio, è calato alla fine il sipario sull’Expo 2015.
Guardare le foto del sito espositivo di Rho nei giorni successivi alla chiusura, con il lungo decumano vuoto e i padiglioni deserti, suscita sì malinconia ma fa anche impressione, se si pensa che, nei 180 giorni dell’evento in quest’area si sono riversati, stando alle ultime stime non ancora certificate, oltre 21,5 milioni di visitatori. 
Un vero e proprio successo, ottenuto nonostante le tormentate vicende che avevano caratterizzato gli anni precedenti l’evento, facendo temere il peggio.
Nessuno ha infatti dimenticato le lotte politiche per il controllo su Expo, i ritardi dei lavori, le vicende relative ad alcuni giri di tangenti e appalti truccati e i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata.
Nonostante tali premesse, però, il merito delle autorità che hanno gestito Expo (Giuseppe Sala e Giuliano Pisapia su tutti) è stato quello di tenere sempre saldo il timone, facendo pulizia e chiarezza laddove necessario ma non permettendo che la grande macchina operativa si fermasse, consapevoli dell’importanza dell’evento per l’immagine e il futuro di Milano.
Dopo un’accelerazione notevole per finire i lavori in tempo (obiettivo centrato), l’Esposizione universale ha così aperto i battenti il primo maggio.
A qualche giorno dalla fine, è possibile già tracciare un bilancio parziale: 15mila persone assunte per lavorare all’interno del sito, oltre 6 milioni di turisti stranieri arrivati a Milano, ottimi risultati per alberghi e attività commerciali e, cosa più importante, un valore aggiunto che tra investimenti, indotto e ricadute future si attesta, secondo alcune stime, a oltre 20 miliardi di euro.
Molto importante anche l’eredità immateriale lasciata da Expo, nello specifico la “Carta di Milano”, il documento elaborato in questi sei mesi che si propone, tra le altre cose, di istituire il diritto al cibo e a una nutrizione sana ed equilibrata come un diritto umano fondamentale riconosciuto internazionalmente. L’Esposizione universale è finita, dunque, e la grande giostra dei divertimenti si è fermata. Ma che cosa resta in mano alla città di questo semestre? Andando oggi a Rho, cosa ci si può aspettare di trovare? È già lontano il tempo delle code al padiglione del Giappone (negli ultimi mesi divenuta quasi proverbiale), non ci son più spettacoli sul cardo e sul decumano, sono finiti i cibi esteri da provare, le luci dell’Albero della Vita si sono spente: rimane solo un grande spazio, trasmesso in eredità alla città di Milano, che dovrà fare in modo che questo lascito non vada sprecato.
Il pericolo più grande, da evitare assolutamente, è che l’area espositiva venga abbandonata a se stessa o non venga valorizzata in modo adeguato, come purtroppo è già successo in precedenza.
L’esempio più recente è quello dell’Expo di Siviglia del 1992, sul cui sito espositivo sono stati costruiti alcuni uffici e centri residenziali, lasciando però la maggior parte degli spazi in uno stato di completo abbandono e degrado, costituendo di fatto un buco nero sulla mappa della città andalusa. Le autorità che avranno il compito di gestire il post-esposizione a Milano dovranno cercare invece quanto più possibile di prendere esempio e ispirazione da quanto avvenuto a Lisbona, forse il miglior caso in assoluto di gestione dei terreni dopo un grande evento internazionale.
Il sito dell’Expo del 1998 era infatti collocato in un’area periferica della città su dei terreni in stato di abbandono lungo il fiume Tago, connessa al centro cittadino grazie a delle linee ferroviarie e metropolitane costruite per l’occasione. Oltre all’area espositiva, il grande evento portoghese ha anche permesso di dar vita a una profonda riqualificazione della capitale lusitana e in particolare dello storico quartiere centrale della Baixa, che versava in uno stato di profondo degrado.
Oggi, a quasi vent’anni dalla fine, l’ex area espositiva si presenta come un quartiere elegante e moderno, costellato di edifici residenziali e uffici, con in più centri di ricerca, negozi, supermercati e, soprattutto, il grande Oceanografico, vero e propria attrazione di portata mondiale.
È quindi questo il modello a cui guardare, anche perché, come si può notare, non mancano alcune analogie tra l’Expo di Lisbona e quella di Milano, che infondono un discreto ottimismo. Fortunatamente, la politica si è mostrata fin da subito abbastanza attenta sulla questione del futuro degli spazi dell’esposizione, con numerose proposte che si sono alternate nei sei mesi dell’evento.
Sfumate le ipotesi della “cittadella della giustizia” e del “polo sportivo lombardo”, sembra prendere sempre più piede l’idea di trasferire negli spazi di Rho buona parte delle facoltà scientifiche dell’Università degli Studi di Milano, da affiancare a un hub di imprese tecnologiche e ad edifici residenziali.
Possibilità che, tra gli altri, ha il deciso sostegno dell’uomo che più di tutti ha contribuito al successo di Expo, il commissario Giuseppe Sala, che in numerose interviste ha espresso il desiderio che a Rho si formi un vero e proprio polo d’eccellenza, in grado di attrarre studenti da tutto il mondo. Ad ogni modo, l’ultima parola spetta al Governo, e proprio Matteo Renzi è atteso a novembre in città, per illustrare le ipotesi più sostanzionse che sono sul tavolo.
Qualunque sia il futuro della zona, una cosa però appare certa: Milano si è ripresa il suo ruolo di protagonista della scena mondiale, mostrando di saper stare a proprio agio sotto i riflettori e al centro della scena.
Tutta la città ha saputo cogliere appieno l’opportunità offerta dall’evento, riedificando interi quartieri (divenuti già casi-scuola nelle facoltà di urbanistica), incrementando la propria rete di trasporti, vedendo sorgere nuove attività e negozi, sistemando alcuni suoi spazi periferici, aprendo nuovi musei e spazi artistici e culturali. Un cambiamento percepito anche all’estero, tanto che nei principali quotidiani internazionali si parla già di un “secondo Rinascimento” che sta avendo luogo nella città, con il New York Times che ha inserito Milano nella lista dei posti da visitare assolutamente.
La speranza è che tutto questo non si interrompa bruscamente, ma che il vento favorevole cominciato con Expo continui a soffiare anche in futuro.
Guardando alla storia di Milano e al carattere dei suoi cittadini, caratterizzato da laboriosità e grande tenacia, ma anche e soprattutto da una gioia di vivere tutta milanese, si può stare tranquilli: l’Esposizione universale non sarà un punto di arrivo, ma costituirà una splendida base su cui costruire un qualcosa di ancora più bello.
Fabio Figiaconi