CRIMINE CAPITALE

Intervento al convegno del senatore Franco Mirabelli

Ringrazio per il coinvolgimento al convegno "Crimine Capitale" e per la discussione che si sta svolgendo. Sono molto d’accordo con molte delle cose che ho sentito fino ad ora e voglio sottolineare alcuni aspetti. 
Innanzitutto, mi pare che da quanto detto emerga con chiarezza il fatto che le mafie cambiano continuamente: c’è un processo continuo di cambiamento e ci sono più mafie, non c’è una mafia sola; sono organizzazioni diverse e, in questo momento, pare che la ‘ndrangheta sia la più radicata. Non è una cosa nuova ma non è tanto antica. 
Oggi la mafia è un fenomeno nazionale e internazionale. Non stiamo parlando più della mafia delle Regioni del Sud: la Relazione conclusiva dei lavori della Commissione Parlamentare Antimafia della scorsa Legislatura dice che la mafia è insediata al Nord e in tutto il Paese; non è solo infiltrata: c’è un insediamento anche sociale e territoriale prima che economico. 
Quando ci poniamo il tema della lotta alle mafie, quindi, dobbiamo sapere che questa è la dimensione, nazionale, internazionale e europea. 
I Procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano raccontano che la riunione della cupola ‘ndranghetista lombarda, che prima si faceva a Paderno Dugnano nel Centro intitolato a Falcone e Borsellino, adesso si svolge in Svizzera, perché lì diventa più complicato per chi indaga dall’Italia. È, quindi, un fenomeno che va affrontato in queste dimensioni. 
Le cose che abbiamo studiato con Nando Dalla Chiesa e l’Università degli Studi di Milano nella scorsa Legislatura mostravano, inoltre, una ‘ndrangheta che ha privilegiato le attività economiche e imprenditoriali. L’inchiesta Aemilia racconta di un’organizzazione ‘ndranghetista potentissima che non aveva bisogno della politica, perché entrava direttamente nelle aziende: non aveva bisogno di aggiustare gli appalti perché aveva le aziende per partecipare alle gare di appalto e distribuire poi i subappalti. Questo lo raccontano anche diverse indagini lombarde. 
Mi pare, inoltre, che cominci a esserci una tesi che mostra un altro cambiamento: la ‘ndrangheta, sposta sempre di più le sue risorse sull’economia e nell’alimentare nuovi settori economici piuttosto che sul traffico della droga. Addirittura, su alcuni territori gli ‘ndranghetisti lasciano fare il traffico di droga ad altri perché loro hanno già altre occupazioni. 
È, dunque, cambiato anche il rapporto della ‘ndrangheta con la politica. Questo livello di organizzazione malavitosa e criminale, infatti, ha bisogno del punto di riferimento del funzionario che accelera la pratica, del consigliere comunale che si occupa del cambio di destinazione d’uso per fornire anche un servizio alle imprese ma non è più la situazione che avevamo conosciuto in passato. 
C’è, poi un’altra riflessione che vorrei fare in questo contesto, perché siamo di fronte in maniera evidente a una criminalità organizzata che suscita bassissimo allarme sociale. 
Le mafie non sparano, usano pochissimo la violenza e le persone, invece, sono più sensibili allo scippo e ai problemi che Salvini è bravissimo a sbandierare. 
La scelta della criminalità organizzata, quindi, di mettere da parte gli arsenali di armi (non che non li abbiano più) produce basso allarme sociale e, quindi, credo che il tema su cui si debba lavorare è quello di spiegare perché le mafie sono pericolose e qual è il tipo di pericolosità oggi. 
Una criminalità organizzata che penetra nell’economia con risorse ingentissime mette in discussione la democrazia e la qualità della democrazia in questo Paese. Questo è il motivo principale per cui io credo che bisogna alzare il livello dell’attenzione. Quello che sta succedendo oggi, purtroppo, è che abbiamo una magistratura che funziona, la Direzione Nazionale Antimafia e il modo in cui è organizzata la lotta alla mafia in Italia che è un esempio ripreso anche dagli altri Paesi; la nostra stessa legislazione è efficace ma, negli ultimi mesi, abbiamo una politica che applaude quando viene fatta la retata di ‘ndranghetisti o camorristi spacciatori di droga e che non applaude mai quando si apre un’inchiesta sui colletti bianchi. 
Sono molto preoccupato per i segnali che stanno venendo dalla politica: a mio avviso, infatti, ci sono dei segnali culturali pericolosi, come ad esempio i messaggi che vengono mandati ogni tanto sulle scorte chiedendo di allentare o di verificare chi ne ha diritto e chi no oppure il segnale che è stato dato rispetto alla vendita dei beni confiscati. 
La legge antimafia precedente prevedeva che i beni che non si era in grado di utilizzare andavano venduti e personalmente sono d’accordo ma oggi si è fatta una legge in cui si è voluto sottolineare la possibilità di vendere i beni confiscati dopo un po’ di tempo in cui restano inutilizzati. A questo tema, quindi, è stato dato un valore, come ad indicare che la questione del riutilizzo sociale dei beni confiscati - cardine della Legge La Torre - può passare in secondo piano rispetto alla necessità di recuperare soldi. 
Allo stesso modo, oggi, con il decreto sblocca-cantieri si dice che la necessità di tenere alta la guardia rispetto alla corruzione e rispetto alle infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti viene dopo la necessità di velocizzare, di fare più in fretta e di fare meglio. Questo è un messaggio devastante perché di fatto si sceglie di arretrare sulla legalità, inoltre non viene velocizzato niente. 
Se poi oggi, si sta ragionando sulla possibilità di tassare il 15% del valore i soldi depositati nelle cassette di sicurezza delle banche, come spiegava il Sottosegretario leghista Bitonci, dando la possibilità a chi ha contanti lì di farli rientrare a fronte di un’autocertificazione del fatto che quei soldi derivano da attività lecite, vuol dire che rischiamo che sia lo Stato a mettere in mano alla criminalità organizzata lo strumento più efficace e più tranquillo per riciclare il denaro. 
Io penso, quindi, che questa sia la situazione e noi abbiamo il compito di suscitare una reazione sapendo che è difficile perché l’allarme sociale è bassissimo rispetto a questo e per fare ciò non basta la politica. Mi pare che le associazioni imprenditoriali, soprattutto al Nord, abbiano capito che lì c’è un punto anche di tutela della legalità ma anche del loro interesse e bisogna ricostruire una risposta, però, su basi diverse perché oggettivamente le mafie sono cambiate e agiscono in altra maniera rispetto al passato. 

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