IL RISORGERE DEL MALE 11

Mentre così delirava in mezzo al silenzio quasi religioso del pubblico presente, osservavo con attenzione i dodici componenti il gruppo di apostoli. Una di loro era una donna. Dal cappuccio un paio di volte mi fu possibile intravedere la punta di scuri e lunghi capelli. Avevo una mezza idea su chi potesse essere ed ero sicuro di non sbagliarmi. Il discorso andò avanti per un’ora, infarcito di luoghi comuni contro gli ebrei rei in primis di aver assassinato il figlio di Dio e di essersi appropriati del territorio della Palestina e prima, durante e dopo di avere razziato nelle varie industrie del mondo impadronendosene. Il delirium tremens di quel pazzo lucido continuò con schifosi ringraziamenti ai loro fiancheggiatori: i nazisti, che avevano cercato di eliminarli dalla faccia della Terra ammirandoli per la loro efficiente macchina organizzativa di sterminio. 
Mi chiesi se lì in mezzo ci fosse anche qualche infiltrato dell’FBI, ma su quelli non c’era da fare molto affidamento per quanto concerneva l’amministrazione della giustizia. Già nel passato erano venuti a conoscenza di crimini che però si erano guardati bene dal perseguire. Soprattutto durante la lunghissima direzione di Hoover. Dopo che la cerimonia fu terminata ci si apprestò ad uscire. Seguii il branco pensando a come agire di lì a poco. Mi venne risparmiata la fatica, perché appena giunto fuori fui avvicinato da due energumeni al cui braccio sinistro era stata applicata una cosa altrettanto sinistra: una fascia rossa con sopra riportata una croce uncinata nera.
- Servizio d’ordine - mi disse uno di loro.
- Bisognerebbe intendersi sul significato dell’ultima parola - dissi io, - perché non vi sono molti dubbi: si tratta di servizio igienico, vista la merda a cui vi richiamate. 
- Vieni con noi, bell’imbusto – disse l’altro. – Dobbiamo mettere in luce alcune cose. 
- Spero non il vostro cervello – replicai, - perché deve somigliare a un ammasso di vermi, che potrà anche servire come esca per far abboccare molti pesci. 
Una morsa di acciaio fece pressione sul mio braccio destro, coadiuvato dal freddo dell’acciaio di una canna di pistola di grosso calibro. Potei adocchiarla. Era una Luger. 
- Tanto per rimanere in tema, eh? – dissi indicandola con lo sguardo. – La divisa invece ancora non la indossate? A quando il grande momento? 
- Chiudi il becco e muoviti. Scortato dalla coppia di scimmioni ammaestrati penetrai in una casa adiacente la chiesa sconsacrata. All’interno, in una sala fredda tipo obitorio, si trovavano i dodici apostoli ancora incappucciati. Fissai la donna piazzata accanto al grassone che aveva pronunciato il suo discorso manicomiale. 
- Miss Lombain, cosa ci fa così mascherata? In Jugoslavia il carnevale esibisce fantocci di questa ridicolaggine? 
La donna si voltò verso il presidente. 
- Cosa facciamo, Gorge? 
- Sentiamo prima cosa ha da dirci. L’uomo si rivolse a me. 
- Lei è qui perché ha seguito la signora? 
- Non posso negarlo. 
- E quale idea si è fatta dopo avere assistito alla nostra riunione? 
- Che i mattoidi sempre ci sono stati e sempre ci saranno. Per lo meno fino a quando non verranno falciati come la gramigna. 
Non replicò subito. Quando lo fece, fu per dire: 
- Mr. Hammer, lei è uno sciocco che agisce da sciocco. Non può quindi comprendere a pieno quello che sta succedendo nel mondo, né quello che succederà di qui a poco. E me ne dispiace per lei. 
- Risparmia il tuo dispiacere per altre occasioni. Per esempio, per quando verranno a farti fuori. 
- E chi sarà questo giustiziere senza macchia e senza paura? – chiese ironico. 
- Dopo che ti avrò scannato non sarò più senza macchia. Ne sarò anzi pieno, visto che nel massacrarti il sangue e le cervella mi avranno imbrattato completamente. 
Un colpo di manganello da parte di uno dei suoi scherani mi fece piegare in due come la lama di un coltello a serramanico che si sta richiudendo. Ma potevo fare a meno del coltello, perché ero munito di pistola. Una pistola calibro 45 già con il colpo in canna. Mi rialzai dopo averla estratta dalla fondina, perfettamente occultata com’era dall’ampia giacca che indossavo. Lo stronzo che mi aveva colpito si beccò un proiettile nel basso ventre. L’altro compare cavò la Luger dalla fondina ma ugualmente non se la cavò perché un secondo proiettile della mia 45 gli bloccò il gesto a metà troncandogli la vita per intero. Mi voltai verso gli incappucciati, in particolare verso il pupazzo che Gracida Dimitrevic aveva appellato col nome di George. 
- Porti lo sesso nome di un grande presidente e di un altrettanto grande musicista. Ma l’unica musica che puoi produrre è quella della marcia funebre, mentre l’unica presidenza alla quale puoi aspirare è quella di un manicomio criminale – dissi. – Che fine ha fatto il mio amico Philip Raymond? ù
Lui sorrise, per nulla spaventato. 
- Quel tuo collega era giunto a noi ben prima di te. Ma così come te è stato scoperto e tu così come lui sarai eliminato. Devo dire che ti ammiro – continuò sorridendo. – Sei uno munito di palle. 
- Rimangono sei pallottole. E se non farai come ti dico, una buona parte le ospiterà anche la tua carcassa. 
Ma non potevo farcela contro tutta quella gentaglia, e infatti non ce la feci. Qualcuno mi raggiunse alle spalle prima che io potessi raggiungere George. 
Sentii un colpo alla di testa. Poi piombai nel buio più fitto.
Antonio Mecca