IL RISORGERE DEL MALE 25

Lo colpii alla guancia destra con la canna della 45. 
- Chi sei? - ripetei ancora. 
- Adolph Hitler - ripeté quasi con orgoglio. Questa volta non mi trattenei più e gli sparai un chiodo nella mano sinistra. Il sangue prese a zampillare, e lui a urlare. 
- Fermo! - supplicò George. - Non sta mentendo: è davvero Hitler. Lo disse con voce talmente carica di sincero dolore che non potei fare a meno di credergli. Forse l’amico era un pazzo, convinto di ciò che andava dicendo. Forse però era meglio che convincesse anche me. - Spiegati meglio - consigliai. 
- Quest’uomo è nato dal DNA di Hitler - rivelò George Walkermann. - DNA prelevato da alcuni resti del cadavere del fuhrer trafugati da un ufficiale sovietico nel bunker di Berlino. Per anni queste reliquie - le definì proprio così - sono state conservate nella casa dell’ufficiale, fino a quando trent’anni fa, leggendo sui giornali di ciò che andavo facendo, si è messo in contatto con me. Ci siamo incontrati, mi sono convinto della sincerità di quanto andava raccontandomi e ho deciso di acquistare le reliquie. A stento riuscii a trattenermi dal colpirlo nuovamente. 
- Già allora la Scienza - riprese - aveva fatto passi da gigante, soprattutto quella finanziata da me. Così i miei ricercatori sono riusciti a innestare il DNA di Hitler nell’utero di una donna che in seguito ha partorito un bambino il quale era la copia esatta di Hitler piccolo. L’abbiamo fatto crescere in gran segreto lontano da sguardi indiscreti, inculcandogli le idee e la fede del suo illustre predecessore, mostrandogli i filmati e le foto e facendogli leggere libri che parlavano di lui. Forse questo non sarebbe stato neppure necessario, poiché andando avanti negli anni risultava sempre più chiaro che il ragazzo era una copia perfetta di Adolph Hitler in tutto e per tutto. Io mi considero suo padre, così come San Giuseppe considerava Gesù il proprio figlio. Ma come in quel caso era stato lo Spirito Santo ad avere fecondato Maria, così nel mio è stato lo stesso Hitler a rigenerarsi nel suo giovane clone. Provai nell’ascoltare quelle bestemmie una rabbia tale che riuscii a stento a contenermi con fatica dal non fargli saltare la scatola cranica seduta stante. 
- Non tirare in ballo la religione, sporco nazista di merda! Tu e quelli come te l’unica religione che conoscono e praticano è quella del potere che per proliferare deve sottomettere gli altri creandosi dei nemici da spogliare di tutto, e per giustificarsi di questo li deve dipingere a fosche tinte. Il nazismo ha provocato milioni di vittime, ha ucciso torturato ferito indelebilmente il corpo e l’anima di chi è stato sottoposto a privazioni prima e a torture poi, ha indotto vecchi e bambini a vivere nel terrore una non vita fatta di umiliazioni e di paure, privandoli a poco a poco della speranza, della dignità, della vita. E tutto questo per via di un pazzo che attorniato da altri incoscienti ha potuto mettere le redini e il morso a un intero popolo di pecoroni che soltanto rivestito di una uniforme riusciva a sentirsi superiore nei confronti di chi dalla vita aveva ottenuto perché alla vita aveva dato. E i nazisti americani sono persino peggiori dei loro progenitori, perché all’odio nei confronti degli ebrei aggiungono quello nei confronti dei neri. L’urlo delle sirene della polizia si annunciò da lontano. Evidentemente qualcuno aveva sentito i vari rumori che nell’appartamento si erano succeduti e aveva telefonato alla Centrale. Walkermann, con un sorriso perfido che accompagnava quanto andava dicendo, me lo fece notare. 
- Stanno arrivando, eh? Come ti giustificherai quando ti troveranno a puntarci delle armi addosso con le quali hai ucciso un uomo e ferito altre tre persone? - E tu cosa risponderai a proposito della reincarnazione di Hitler? 
- Soltanto che si tratta di una messinscena, di un attore troppo calatosi nella parte. E così la farò franca, perché sono il padrone di mezza città. Compresi che aveva ragione, purtroppo. D’altronde ai sistemi del Sistema adottati per amministrare la giustizia avevo smesso di credere già da tempo e per tempo. Non a caso ero diventato detective privato. Così, senza aspettare oltre, appoggiai la canna della 45 sulla sua fronte e premetti il grilletto. Come avevo affermato quel giorno quando mi ero trovato per la prima volta a tu per tu con lui, predicendogli che mi sarei macchiato del suo sangue e del suo cervello nell’istante in cui gli avrei fatto saltare la scatola cranica, la promessa venne mantenuta. La sommità del suo capo esplose, inondandomi di frammenti di ossa e di schizzi di cervello e di sangue. Hitler lanciò un grido inorridito di checca spaventata, cosa questa che l’originale forse almeno in parte era. Gracida gracidò ancora, come una cornacchia spaventata. Avanzai verso quell’orrido pagliaccio e gli piazzai la canna della pistola sparachiodi sul dorso dell’altra mano non ancora inchiodata. Poi premetti il grilletto. La sua destra ricevette il chiodo, e io altre macchie di sangue. Un urlo prima straziante, e poi via via sempre più soffocato in simbiosi con l’urlo delle sirene che sempre più andava smorzandosi fuoriuscì di sotto quei ridicoli baffi a francobollo, ai quali stavo apponendo il timbro per spedirlo all’inferno. 
- Ho una soluzione finale in serbo per te: una soluzione mia personale il cui finale è il seguente - dissi premendo nuovamente il grilletto. 
- Questo, per gli ebrei che hai fatto torturare e trucidare per anni. Spostai la pistola sparachiodi più sotto e di lato, all’altezza del ginocchio sinistro. Il chiodo sparato a distanza ravvicinata gli spezzò la rotula. Si accasciò, ma prima che potesse svenire sparai anche all’altro ginocchio. 
- Che effetto fa ricevere chiodi d’acciaio, schifoso degenerato? Non è come ricevere i baci da parte di Eva Braun, non è vero? Gli scaricai altri chiodi in varie parti del corpo. 
- Questi, invece, per avere provocato una guerra su scala mondiale che ha ridotto l’Europa allo stremo privandola di milioni di persone. Quanti bambini hai fatto morire, Adolph? Sparai gli ultimi chiodi sui suoi zigomi, quando ormai la sua vita era ridotta al lumicino. Poi passai alla pistola vera e propria, sparando partendo dalle sue gambe e salendo via via fino alla faccia. 
- Questo è per Anne. Questo per sua sorella Margot. Questo, e questo, e questo per tutti i poveracci che hai fatto soffrire. Sparavo un colpo dopo l’altro, mentre la stanza si andava riempiendo del puzzo sempre più insopportabile di cordite, quasi un incenso acre e puzzolente celebrante una schifosa messa nera. La morte è un avvenimento luttuoso, ma in quel caso lì era per me voluttuoso. Sollevai la tavola in piedi, in maniera che il cadavere di quel mostro potesse apparire come un corpo crocifisso. Rimaneva Gracida Mitridevic, che senza farsi accorgere aveva raggiunto il tavolo e afferrato una bottiglia di whisky con la quale cercò di colpirmi in testa. Mi voltai giusto in tempo per sparare alla bottiglia che teneva all’altezza della sua faccia stravolta. Il proiettile, sparato a distanza ravvicinata, frantumò il vetro e produsse una fiammata che dal liquore si propagò ai capelli della donna e da lì alla faccia e al vestito. Era l’inferno che ghermiva una delle sue creature, e quelle fiamme e quella donna mi ricordarono la stessa donna con indosso un vestito rosso fiamma indossato la notte di un’estate di alcuni anni prima, durante una cerimonia all’aperto in onore del suo illustre marito. Allora c’era vento ad agitarle l’abito, che pareva una fiamma simbolica, quasi la fiamma dell’amore che tutta la agitava. Ora invece erano fiamme autentiche, che divoravano con gusto perverso una pervertita che la Terra rigettava all’inferno da cui era stata partorita. Scagliai la pistola in mezzo a quel rogo umano e uscii dall’appartamento e dall’edificio, incontro alla notte e al destino che mi era stato riservato. 
Antonio Mecca