CARI SALA E FONTANA...
- 29 luglio 2019 Cronaca
Collaborate anche sulle case popolari oltre che sulle Olimpiadi invernali?
Il commento di Walter Galbusera, già segretario generale
della Uil metalmeccanici di Milano, ora presidente della Fondazione Anna
Kuliscioff
Il tema dell’edilizia popolare, associata alla riqualificazione dei
quartieri periferici più disagiati, è al centro dell’attenzione della
pubblica opinione, delle forze politiche e sociali, degli amministratori
pubblici. Prevale in generale un approccio di denuncia-protesta e non
sempre le proposte sono presentate con la chiarezza necessaria. Del
resto la questione è complessa, particolarmente nei grandi centri urbani
e nella realtà di Milano dove coinvolge due livelli istituzionali,
quello regionale (Aler) e quello comunale (Metropolitana Milanese SpA).
Nel capoluogo lombardo, per ragioni oggettive, la situazione è
particolarmente grave ma lo è ancor di più il fatto che non ci sia la
piena consapevolezza che è in serio pericolo la sopravvivenza stessa
dell’edilizia popolare, che proprio qui, all’inizio del secolo scorso
svolse un ruolo decisivo nella crescita sociale, civile ed economica
della città. Sarebbe doveroso riflettere sulle cause, invece prevale una
sorta di competizione “destruens” tra il livello comunale e quello
regionale, che rispondono a differenti maggioranze politiche. Molte
energie, soprattutto da parte della stampa milanese, che non si sottrae a
logiche di schieramento sono impegnate a dimostrare i disagi, ritardi,
inefficienze di MM o di Aler attribuendole ora alla responsabilità
politica del Comune, ora a quella della Regione. Tutto legittimo, per
carità, la competizione, anche se ruvida, è utile. Piuttosto
bisognerebbe garantire ad Aler e MM parità di condizioni in materia
fiscale, di bilancio e di autonomia gestionale, ricercando soluzioni che
avvicinino le due realtà per migliorarne l’efficienza complessiva.
Quando Regione e Comune di Milano lavorano insieme ottengono spesso
ottimi risultati.
La coesione istituzionale è fondamentale quando si gioca fuori casa,
come per Expo e Olimpiadi invernali, ma non lo è di meno quando partite
importanti si giocano in casa nostra. Per questo sarebbe opportuno anche
uno sforzo comune, tra Milano e la Regione per un progetto credibile di
sviluppo dell’edilizia pubblica come garanzia di una futura coesione
sociale che, pur mantenendo caratteri solidaristici o assitenziali,
combatta senza equivoci l’illegalità. Serve un “new deal” per l’edilizia
pubblica per rispondere in particolare riferimento ai giovani nuclei
familiari e a sostegno degli immigrati regolari per garantirne la piena
integrazione. L’abolizione della Gescal fu il frutto di una colossale
assenza di lungimiranza che ha tolto continuità e certezza a un
intervento organico e programmato di edilizia pubblica. Il finanziamento
continuativo rimane una questione da affrontare con urgenza, ma nello
stesso tempo premono le questioni contingenti.
La lotta alla morosità colpevole e all’abusivismo è priva de facto di
strumenti efficaci. Le occupazioni illegali (più di 4000 nel capoluogo
lombardo) che tolgono la casa agli aventi diritto, dovrebbero essere
considerate reati molto gravi e accompagnati da sanzioni deterrenti, a
prescindere da chi li commette. Oggi gli sfratti avvengono con grande
lentezza, anche per la difficoltà di offrire, nei casi della presenza di
minori o di disabili, soluzioni alternative che peraltro, quando ci
sono, vengono spesso rifiutate senza che nulla accada. Difficile del
resto risolvere il problema con il trasferimento in albergo, che rimane
un’opzione per un numero limitato di casi.
Se si conviene che sono necessarie soluzioni temporanee da offrire
agli sfrattati, non sarebbe opportuno che Regione e Milano dessero vita
in tempi brevi a un progetto concreto per costruire edifici o adattare
quelli esistenti con l’obiettivo di collocare in via temporanea e in
forza di legge i morosi colpevoli e gli occupanti abusivi in condizioni
particolarmente critiche che non hanno dove andare? È davvero così
difficile disporre nel territorio luoghi abitativi dove collocare coloro
che, per loro responsabilità, non hanno alcun diritto a risiedere nella
casa pubblica che occupano? È solo quanto accade nei più civili paesi
d’Europa.