IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA 28

Georgel iniziò da Cotillard poiché la via dove risiedeva era la più vicina alla stazione ferroviaria. si trovava nei pressi della vecchia Lione. E fu qui che il poliziotto si diresse. Una decina di vecchi edifici che sebbene qualche imbecille avrebbe definito pomposamente centro storico. Ma erano marci e decrepiti edifici sistemati in una decrepita strada. C’è nella Francia tutta un che di sconvolgente e squallido nella miseria, perché lo squallore dato dalla povertà è ben superiore a quello che si trova in altri Paesi europei. Si ricordò di ciò che aveva scritto Emile Zola nel suo romanzo “Roma”, dove nel descrivere alcuni luoghi poveri della capitale italiana ne faceva il parallelo con quelli di Parigi, e dal confronto le banlieue parigine perdevano decisamente per via del clima che non era certo quello italiano.

Lì il sole, con la relativa luce portavano una felicità che sostituiva – seppure solo in parte – il benessere mancante. Qui invece vi era un qualcosa che prendeva al cuore e lo avvolgeva di una profonda tristezza. E sebbene Lione: per la sua posizione geografica nel centro sud della Francia godesse di un clima decisamente migliore rispetto a quello parigino, la sua edilizia non era granché migliore.

Il poliziotto lasciò l’auto in zona vietata, avendo però cura di apporre sul cruscotto sopra il volante il tesserino che la identificava come un’auto della polizia. Quindi scese dalla macchina e raggiunse il numero 87 della rue Carson, numero che non poteva non ricordargli quello del mitico distretto di polizia creato da Ed McBain e che qui corrispondeva a un palazzaccio di otto piani che non era certo il “palazzaccio” con cui i romani appellano il tribunale di Roma. Il portone di ingresso era aperto, e dall'interno proveniva un odore di cucina non propriamente appetibile. Una donna bassa di statura e larga di corporatura stava abbrancata alla sua scopa più alta di lei al pari di una ballerina di lap-dance al palo in cui si esibisce. Si dice che è nella botte piccola che si trova il buon vino. Già, ma attenti a non farla rotolare magari a calci se si vuole evitare che il vino si tramuti in aceto.

La donna lo fissò con attenzione, sembrando riconoscerne la provenienza e il relativo marchio di fabbrica.

- Sì: sono della polizia - confermò. – Cerco il signor Cotillard. È in casa?

- Suppongo di sì.

- Non si limiti solo a supporlo ma gli citofoni per accertarsene.

Le corte braccia della donna percorsero il manico di scopa come le braccia di una scimmia un tronco d'albero per scendere a terra, dopodiché si diresse nel suo bugigattolo, che puzzava di cibo stantio. Staccò la cornetta di un telefono e vi formò un numero, al quale di lì a pochi secondi rispose una voce d'uomo non certo minuto, a voler giudicare dal tono robusto.

- Monsieur Cotillard, c’è qui la polizia. Vorrebbe parlarvi. La faccio salire?

- Certo. La faccia salire.

La piccola donna rispose “Va bene”, dopodiché riagganciò.

- Sta al quarto piano. L’ascensore è rotto - lo avvisò quasi con malignità.

- Sono rotto anch'io a tutte le esperienze, – la tranquillizzò lui. Affrontò stoicamente le scale appena lavate che emanavano un profumo di lavanda. Su ogni piano erano piazzate quattro porte la cui presenza stava probabilmente a indicare quattro minuscoli appartamenti comprensivi di cucina, bagno, camera da letto e soggiorno.


Antonio Mecca

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