INCONTRO AL LAGO

Di Albertina Fancetti
Capitolo undici

Luciano varcò il ponticello di legno voltandosi a guardare un’ultima volta la basilica di S. Lorenzo. Il monaco aveva già chiuso la porta della sagrestia e ne intravide la sagoma attraverso una delle alte finestre, mentre saliva lentamente la scala di pietra. Il vasto prato fiorito si stendeva davanti ai suoi occhi, cercò invano fra l’erba alta il sentiero che Aquilino aveva percorso la notte precedente, ma non ne vide traccia. La fitta vegetazione si piegava dolcemente al soffio della brezza mattutina e Luciano vi si inoltrò con decisione, accompagnato dal ronzio degli insetti. Giunse ben presto al limitare del boschetto che, alla luce del giorno, aveva perduto il suo aspetto fatato. Luciano percorse lo stretto sentiero che si snodava tra gli alberi senza incontrare anima viva. Al di là del boschetto, una larga strada sterrata fiancheggiava il canale che ricordava di aver navigato a bordo della chiatta. Alcune eleganti carrozze provenivano dal centro della città con i cavalli al piccolo trotto, e Luciano fu certo che quella via l’avrebbe ricondotto sulle rive del laghetto. Sentiva il bisogno di ritornare a cercare la ragazza vestita di bianco per svelare una volta per tutte il mistero di quel sorriso che aveva dato origine alla sua incredibile avventura.
Camminò per circa un’ora lungo il naviglio, solcato quella mattina da piccole imbarcazioni che trasportavano sacchi di riso e farina, pesce secco e verdure. Qualche pescatore gettava la lenza nelle acque cupe, assopendosi poi al tiepido sole di quel mattino sereno.
Luciano non si era sbagliato… finalmente raggiunse il laghetto, proprio nella posizione in cui il giorno prima era comparsa la ragazza. Vide il varco che si apriva tra gli alti ippocastani, scendendo poi fino all’acqua in una cascata di rena candida. Raggiunse la piccola spiaggia, guardandosi intorno con curiosità, in cerca di una traccia che ne indicasse il passaggio. Sulla sabbia apparivano soltanto piccole orme confuse, in parte cancellate dalla brezza notturna. Luciano si sedette all’ombra di un albero, un basso cespuglio di more lo nascondeva alla vista di chiunque arrivasse dal sentiero. L’acqua davanti ai suoi occhi scintillava sotto i raggi del sole. Il clima era tiepido e gli odori intensi sembravano scomparsi, lasciando il posto a un vago sentore di muschio e resina. Luciano si assopì, cullato dallo sciabordio delle onde che si infrangevano sulla riva.
Si svegliò di soprassalto, con la sensazione di aver dormito per ore, e d’un tratto la vide… una figura leggiadra, vestita di bianco, scendeva scivolando a piedi nudi sulla sabbia candida. I capelli lisci e castani gli scendevano fino alle spalle e i raggi del sole vi accendevano riflessi ramati. Teneva i gomiti sollevati con grazia all’altezza del busto per mantenersi in equilibrio, simile a una danzatrice. Luciano le vide scintillare sul polso sottile il braccialetto d’argento ornato di roselline. La ragazza si chinò verso l’acqua, ripetendo lo strano rituale del giorno precedente… e fu allora che lo scorse, riflesso nel laghetto. Sobbalzò, sollevando il capo, i capelli ondeggiarono intorno al viso, poi rimase immobile… in attesa. Luciano le sorrise e lei volse il volto bellissimo, uguale a quello della ragazza del quadro, senza alcuna ombra di deturpazione. Mostrò di riconoscerlo e le sue labbra si schiusero in quel sorriso ammaliatore che lo perseguitava ormai da troppo tempo.
Luciano rimase a sua volta immobile guardandola incantato, temeva che se solo si fosse alzato e avesse mosso un passo verso la ragazza, gli sarebbe sfuggita di nuovo. Improvvisamente lei gli tese la mano, invitandolo a raggiungerla sulla piccola spiaggia, dove il suo abito di prezioso sangallo, spiegato intorno al corpo come un ventaglio Sivigliano, gli avrebbe impedito comunque di avvicinarsi troppo oltre le convenienze. La raggiunse emozionato, sedendole accanto.
«So di conoscervi da sempre, anche se ancora ignoro il vostro nome» le disse in un sussurro.
«Mi chiamo Cristina» gli rispose semplicemente, porgendogli la mano, mentre il sorriso raggiungeva i suoi occhi colmandoli di sfumature color miele. Luciano vi depose un leggero bacio, ammirando da vicino la squisita fattura del braccialetto.
«Ieri sera eravate voi la medium che presenziava la seduta spiritica in via Fiori Chiari, nella casa di Lord Byron» non era una domanda, bensì un’affermazione.
Il sorriso scomparve dalle labbra di Cristina, mentre nei suoi occhi compariva un’espressione di sfida.
«Non fate domande che non possono avere risposte! Non posso dirvi nulla di più di quello che vi hanno riferito gli spiriti. Io non ricordo più nulla… sono soltanto una lavagna che viene subito cancellata».
«Ma io devo trovare delle risposte!» ribatté Luciano in tono accorato.
Il momento magico fu interrotto dall’arrivo della chiatta che trasportava il marmo. Luciano riconobbe il volto da furetto di Agostino, che sventolava la sciarpa rossa in segno di saluto. Alle sue spalle apparve Carluccio che li osservava con un’espressione ferita riflessa negli occhi chiari.
Cristina ritrasse la mano come se le sue labbra scottassero. Una nuvola grigia, così inadeguata nel cielo sereno di quel mattino, coprì il sole, mentre un soffio di aria gelida fece stormire le fronde degli ippocastani.
“Gli spiriti si sono inquietati” pensò Luciano rabbrividendo, si stupì che un pensiero così blasfemo avesse potuto farsi strada nella sua mente così razionale.
«Dovete andarvene subito!» lo esortò Cristina, confermando con quelle parole la minaccia che si avvertiva nell’aria.
«Non posso lasciarvi proprio adesso che vi ho trovata!»
“Forse un giorno mi ritroverete… ma adesso dovete andarvene… presto!”
Luciano l’attirò contro il suo petto, spiegazzandole l’abito di pizzo, accarezzandole i capelli mentre la baciava dolcemente. La ragazza rispose al suo bacio, era così snella e sottile da sembrare immateriale.
Nel varco che si apriva tra gli alberi alle loro spalle videro comparire Carluccio; i capelli neri e ricciuti, mossi dalla brezza, gli si agitavano intorno al volto facendolo assomigliare a un oscuro Giove infuriato. Brandiva un pesante bastone. Lo sguardo colmo di violenta follia. Lanciò un urlo, piombò sulla rena con i grossi zoccoli di legno e si avventò contro Luciano. Lo colpì ripetutamente con quell’arma micidiale, facendolo precipitare nelle acque scure del laghetto.
Cristina tuffò le mani nel lago e per alcuni istanti riuscì a stringere quelle di Luciano che, con le ultime forze che gli restavano, tentava di afferrarsi alla vita. Il prezioso braccialetto le scivolò dal polso sottile e fu l’unica cosa che gli rimase tra le dita, mentre si sentiva sprofondare, trascinato verso gli abissi inimmaginabili che si estendevano sotto quel laghetto milanese. L’ultima immagine che gli si formò nella mente fu quella del quadro appartenuto allo strano collezionista conosciuto a Saint Paul de Vence: adesso sapeva cos’era ciò che la ragazza del lago tentava di afferrare tuffando le mani nelle acque scure.

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