INCUBO D'UN AMORE TRADITO

La pioggia sferzava l'edificio con la furia di acqua benedetta schizzata dall'aspersorio di un esorcista intento a stanarne il male nascosto. I demoni da punire si trovavano al suo interno, uniti in un amplesso che l'uomo rivedeva in continuazione, nitido incubo sovrapposto ai confusi segni dei neon riflessi sull'asfalto, simili a vivaci illusioni giovanili ormai in frantumi. Dalla parte opposta dell'isolato giungeva il fruscio dei pneumatici delle auto di passaggio, un fruscio di stoffa tagliata dalle abili forbici di un sarto. Anche durante la sua prigionia si erano avuti giorni di pioggia, e l'udito era stato il solo fra i sensi dell'uomo a permettergli di restare agganciato al mondo esterno.
La bocca e gli occhi bendati, incatenato a una parete umida, erano trascorsi lunghi giorni durante i quali i suoni percepiti avevano rappresentato il suo unico contatto con l'esistenza. E poi era accaduto l'incidente stradale, e l'uomo aveva avuto modo di ascoltare le varie fasi della disgrazia. Sapeva di essere quasi sempre solo, poiché al di là della stanza non aveva mai avuto modo di percepire alcuna presenza umana. Il carceriere veniva una volta al giorno, recando del cibo che gli somministrava senza togliergli neppure allora la benda dagli occhi. Finché una sera, al posto del cibo, gli aveva propinato cloroformio.
Al risveglio si era ritrovato in una zona di campagna dell'hinterland milanese, con a fianco la moglie che lo assisteva in lacrime. Lei gli aveva raccontato le varie fasi della trattativa seguita al rapimento, e di come avesse preferito pagare il riscatto imposto senza informare gli inquirenti per evitargli ritorsioni da parte dei rapitori. Lui aveva annuito, senza dire nulla, pensando per l'ennesima volta a quella notte. La notte in cui era stato privato della libertà e di tutte le sue illusioni. Immobile nel suo letto, con gli occhi chiusi, stava cercando di prendere sonno senza tuttavia riuscirci. Evitava comunque di muoversi, per non arrecare fastidio a lei. Sua moglie. Che a un dato momento aveva scostato la coperta ed era scivolata silenziosamente fuori dal letto. 
Lui avvertì la sensazione di essere da lei osservato, a lungo; ma anche allora non riaprì gli occhi. Poi la sentì lasciare la stanza lentamente. Qualche minuto dopo l'uomo cominciò a scivolare nel sonno, e mentre ciò avveniva gli parve di udire un suono metallico. Come il "click" di una pistola scarica. Dopo alcuni istanti il puzzo di cloroformio lo aveva aggredito, facendolo passare dal sonno leggero all'incoscienza totale. A liberazione avvenuta anche lui si era dichiarato d'accordo con la moglie sul non informare dell'accaduto gli inquirenti. Aveva una sua idea, infatti, che si guardò bene dal comunicare alla donna. Si mise a consultare i giornali arretrati alla ricerca di notizie riguardanti l'incidente stradale. Quel dato incidente. Trovatele, le lesse attentamente. Quindi si recò sul posto. Si trovava in via Ponte Nuovo, all'altezza di un bivio che portava in via Pompeo Mariani, una stradina di periferia fiancheggiata da villette e costruzioni industriali, più qualche bar-tabaccheria. Cominciò a scandagliare i dintorni, fino a quando gli parve di avere individuato la sua prigione in un vecchio magazzino chiuso da tempo. Per diversi giorni tornò sul posto e tenne d'occhio i paraggi, aspettando che qualcosa accadesse. Fino a quando qualcosa accadde.
Quella sera piovosa, quando vide giungere la moglie sottobraccio a quello di un uomo giovane, robusto e dall'aspetto brutalmente virile. I due erano entrati nel magazzino servendosi di una chiave che il giovane aveva estratto dalla tasca. Lui aveva fatto passare alcuni minuti, prima di penetrare a sua volta attraverso un'apertura praticata sul retro dell'edificio. Li trovò in una stanza, supini su una coperta, intenti a fruire di un piacere torbido che il male da essi fatto e il luogo nel quale si trovavano alimentava. 
Era subito uscito, perché aveva sentito l'aria mancargli. Ed ora stava lì, ad ascoltare il mormorio sommesso della pioggia, simile a una preghiera da requiem. Poi la sua mano sfilò dalla tasca la pistola, sollevandone il cane, il quale produsse un "click" metallico. Come quello di una serratura aperta dall'interno. Come quello che aveva udito la notte in cui era stato tradito. RIentrò ad assistere alla stessa lurida scena. La pistola sembrò mettersi a sparare per proprio conto, emettendo lingue di fuoco simili a sberleffi di demoni che - come lingue di formichieri - catturarono i due amanti per trascinarli fin nelle viscere dell'inferno. L'uomo lasciò la stanza e l'edificio, andando incontro al suo nuovo destino sotto una pioggia che adesso cadeva copiosa al pari di un pianto a lungo trattenuto ed ora finalmente sfogatosi.

Antonio Mecca

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