Istruzione & Formazione News n. 13

Maturità 2023: coazione a ripetere?

L’edizione 2023 dell’esame di maturità, ormai in retta d’arrivo, ha riacquistato la forma che aveva prima della pandemia: due prove scritte nazionali, colloquio, crediti, eccetera. Ed è facile prevedere che l’esito sarà più o meno lo stesso che si è registrato negli ultimi 10 anni, prima, durante e dopo la pandemia: oltre il 99% di promossi tra i candidati ammessi alle prove.

Passano i governi, le coalizioni e i ministri, ma l’esame conclusivo degli studi secondari, progressivamente alleggerito nel tempo, a partire dal decreto-legge Sullo del 1969, che ridusse a due le materie oggetto della prova orale, resta invariato in questa sua caratteristica di ormai totale non selettività, tanto che molti giornalisti e scrittori lo presentano, con qualche compiacimento autobiografico, come un “rito di passaggio” dall’adolescenza alla vita adulta, non come una prova di valutazione delle competenze acquisite.

La maturità che torna “come prima” (lo stesso ministro Valditara si è espresso in questi termini per tranquillizzare i candidati) costituisce un caso esemplare di resilienza, che in fisica è la proprietà di un materiale che ha subito una deformazione di tornare ad assumere la forma precedente, mentre nelle scienze sociali indica la capacità di rispondere positivamente e con successo a un evento negativo (uno stress come una crisi economia). Dunque in fisica il termine descrive un fenomeno, indica un fatto senza ovviamente esprimere alcun giudizio di valore. Nelle scienze sociali la resilienza fa invece riferimento a comportamenti, a scelte anche valoriali volte a superare una difficoltà migliorando la condizione di partenza.

Ecco, detto in sintesi: il caso dell’esame di maturità è riconducibile al significato che la resilienza ha in fisica, non nelle scienze sociali: è neutro sul piano dei valori perché indica un fatto, la tendenza dell’esame a diventare “come prima”. Ma dal punto di vista delle scienze sociali (al cui ambito appartengono le scienze dell’educazione) non si può che giudicare negativamente la rassegnata ripetizione di un rito che non ha più alcun valore di esame avendo perso ogni significato dal punto di vista valutativo. Nel linguaggio delle scienze sociali (della psicologia in questo caso) l’espressione quella più adatta sembra “coazione a ripetere”.

Un destino ineluttabile? Proprio non si può immaginare un’alternativa? Davvero il ministro Valditara, che pure si è fatto paladino della personalizzazione e della valorizzazione dei diversi talenti individuali, non ha nulla da dire su come tale impostazione potrebbe riflettersi in un diverso esame conclusivo degli studi secondari? Proviamo a fare un’ipotesi.  

 

Come potrebbe essere una maturità “personalizzata”

 

Non c’è nulla dainventare: basta mettere insieme le dichiarazioni più volte rilasciate dall’attuale ministro con alcune considerazioni e suggerimenti contenuti in analisi, progetti e commenti prodotti da pedagogisti come Giuseppe Bertagna e da riviste come Tuttoscuola negli ultimi anni in materia di riforma dell’istruzione secondaria superiore, di valutazione e di esami.

Per quanto riguarda il ministro si può fare riferimento in primo luogo a quanto contenuto nel capitolo “Scuola e formazione” del volume “L’Italia che vogliamo”, scritto insieme a Alessandro Amadori alla vigilia delle elezioni del 25 settembre 2022: occorre passare “dalla logica del ‘diplomificio’ a un modello di formazione scolastica che privilegi lo sviluppo individualizzato dei talenti e delle corrispondenti competenze” e che “non lasci indietro nessuno”. Affermazione ripetuta in altre occasioni, e con particolare convinzione nella lettera inviata il 17 aprile 2023 alla Fondazione Kuliscioff e al liceo Carducci di Milano in occasione di un convegno su Giovanni Gentile: “La riforma che ho in mente, a partire dalla scuola del merito, va nella direzione opposta a quella di Gentile. Il merito non è per me selezione elitaria, ma valorizzazione dei talenti di ognuno, personalizzazione dei percorsi, capacità della scuola di tirar fuori abilità e predisposizioni e di valorizzarle, per dare ad ogni ragazzo una chance di affermazione e di realizzazione dei propri sogni, delle proprie potenzialità, delle proprie aspirazioni. Valorizzando i talenti di ciascuno è l’intera società che ne beneficia e non soltanto i più fortunati.

Bene. È una posizione non troppo diversa da quella che si trova, per esempio, nel Manifesto del progetto “La scuola che sogniamo” della rivista Tuttoscuola: “Ci piacerebbe una scuola capace di rispondere ai bisogni e alle esigenze di ciascun alunno, capace di proporre una didattica su misura, quali che siano le differenze che pure caratterizzano ogni aula scolastica, in grado di valorizzare le attitudini e i talenti di ognuno. Una scuola che riconosca la multiformità delle intelligenze, nella quale la diversità, che è sempre sfidante, sappia far scaturire creatività, soluzioni nuove, così che nessuno resti indietro e nessuno si senta fuori posto.

Fermo restando che una concezione della scuola di questo genere, personalizzata e proattiva, dovrebbe caratterizzare l’intera offerta formativa a tutti i livelli, perché non cominciare intanto dalla parte finale degli studi secondari superiori consentendo agli studenti, negli ultimi tre anni, di dedicarsi progressivamente alle due-tre materie preferite e concentrando l’esame finale, la “maturità”, su di esse? E perché non sostituire lo screditato diploma con una certificazione (sempre con valore legale, visto il vincolo costituzionale) delle competenze effettivamente acquisite, utilizzando una classificazione del tipo di quelle in uso in Europa per le competenze linguistiche e altre, come quelle non numeriche adottate ora anche in Italia nella scuola primaria?

In fondo un modello di riferimento ampiamente collaudato in Europa lo abbiamo già: è quello degli A levels inglesi. Si tratta, per l’Italia, di definire standard e modalità valutative, lasciando un adeguato spazio alla prova orale, che è nella nostra tradizione pedagogica e che offre un valido elemento di valutazione in tempi di cheating tecnologico e di ChatGPT.

Saremmo curiosi di sapere dal ministro che cosa va e che cosa non va in questo ragionamento. 

A cura di Orazio Niceforo

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