LA BAMBINA E IL SUO CARNEFICE - 5

- Lasciami! Lasciami! - strillò lei sempre più terrorizzata. Lui la guardava, e gli sembrava di non riconoscerla più. Era cambiata; era una sua nemica, ora. Perché? Ce l’aveva con lui soltanto perché le aveva confidato di amarla? Tutti i suoi sogni riguardanti il proprio futuro si erano frantumati come uno specchio colpito da una pietra la cui superficie, incrinata, si è trasformata in una ragnatela. Una ragnatela di cristallo che lo aveva intrappolato in attesa di venire divorato dal malefico ragno lì annidato.

- Non è giusto! - le urlò.

- Mi fai paura! Lasciami o io…

- Ti prego, ascolta. Tu…

- …lo dirò ai miei genitori e loro…

- …non puoi comportarti così. Io…

- …ti sgrideranno.

-…ti voglio sposare, capisci?

- Lasciami!

- Non devi fare così, Francesca… Non devi.

Le sue mani sfiorarono quel faccino che aveva significato per lui, nella sua fantasia febbricitante, la speranza ultima sulla quale costruire il proprio avvenire, modificare la propria esistenza. Le mani gli scivolarono giù, attorno al collo, dopodiché strinsero per fermare quel grido che gli lacerava i timpani, che gli devastava la mente. La testa della bambina si afflosciò sul collo come la corolla di un fiore improvvisamente appassito perché privato della linfa vitale. L'uomo avvertì come una scossa, e inorridito ritrasse le mani. Vide Francesca crollare a terra lentamente, come se lei sapesse che mai più si sarebbe rialzata e cercasse così di ritardare il più possibile quell’istante.

L’ultima cosa che scorse di lei furono gli occhi, sbarrati e fermi nel terrore che ne aveva segnato gli ultimi istanti. In lontananza il traffico automobilistico continuava col suo rumore monotono, un cane abbaiava chissà dove e chissà a chi, mentre a pochi metri l'acqua del torrente correva impetuosa a mescolare le proprie acque irruenti con quelle dolci e tranquille del lago, a diluire la propria forza aggressiva con quella mansueta della grande e placida distesa. Il piccolo prato lì accanto era quello di sempre; soltanto, con un fiore in meno. 

L'uomo scappò, senza più voltarsi, scappò via da lei cercando di fuggire anche da se stesso, raggiunse la sua auto, e partì senza meta, ma già il fatto di essere in macchina e in movimento lo fece sentire meglio. Aveva guidato fino a quando la notte aveva inghiottito il giorno, il buio soffocato la luce. Poi era passato accanto a quel locale risplendente di fredda luce azzurra, una sorta di iceberg venato dal riflesso dell'acqua blu, e deciso che era giunto il momento di porre fine alla sua inutile fuga. E così adesso si trovava appoggiato al parapetto, ad osservare le barche lì attraccate che dondolavano e quasi si dolevano come vuote culle di neonati che non sarebbero mai arrivati. Come culle di bambine che non sarebbero mai diventate madri. Sembrava stessero eseguendo una silenziosa ninna-nanna, comprensibile soltanto a loro stesse. Le luci sulla riva opposta si fondevano a formare una serpeggiante cintura fluorescente che si rifletteva sull'acqua in movimento.

L’acqua. Era lei il fattore decisivo.

Diede una rapida occhiata intorno a sé. Nessuno si trovava nelle vicinanze. Scavalcò il parapetto e raggiunse la riva del lago. Il contatto con l'acqua gelida lo fece rabbrividire, ma non fermare. Mentre avanzava immergendosi sempre più si immaginò, per cercare di vincere il panico, che il suo procedere in quel bacino d'acqua fosse un po’ come un ritorno nel bacino materno, un'immersione nel liquido amniotico dentro il quale la vita si forma e si sviluppa. E nell'istante in cui l'acqua si richiudeva sopra la sua testa, e la luna piena pareva aureolarlo per un breve quanto intenso attimo, quasi una tacita approvazione al suo sacrificio, l'uomo pensò un’ultima volta a Francesca e non la vide più così come l’aveva ridotta, bensì sorridente e serena come un tempo che pur vicino gli sembrava ora talmente lontano da credere non fosse mai esistito. Un tempo che oramai non apparteneva più a entrambi. E allora spalancò la bocca e lasciò che l'acqua irrompesse dentro di sé a spurgarlo di ogni peccato.

fine

Antonio Mecca

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