BUON NATALE, SIGNOR PAVESI

MEMORIA DEL QUARTIERE ISOLA

Di recente un amico mi ha dato un piccolo manoscritto. Un semplice quaderno steso a mano da suo padre, il Sig. Luciano Pavesi, classe 1941; fioraio per una vita al vecchio quartiere Isola. Le sue parole, emozionanti e commoventi, mi hanno proiettato indietro nel tempo in una Milano che solo in minima parte ho potuto assaporare e che, in una certa misura, gli invidio. Mi ha fatto il regalo di Natale più gradito e, se posso, vorrei ricambiarlo lasciando una piccola traccia della sua vita e della nostra città nell’oscuro mare della moderna sovrainformazione che di tutto racconta e nulla narra.

Le parole del Sig. Pavesi appartengono a un uomo semplice, ma non ingannatevi; perché dalla sua semplicità emergono un inarrivabile discernimento, un’arguzia raffinata e una garbata ironia alle quali molti odierni edotti, o presunti tali, non potrebbero lontanamente aspirare.

Per generazioni la famiglia del Signor Pavesi ha vissuto all’Isola e quest’ultimo inizia il suo breve racconto con la voglia di ricominciare che si respirava dopo il Secondo Conflitto Mondiale; la devastazione subita, l’ennesima nella lunga storia di Milano, non sconfisse gli abitanti del quartiere, anzi, li avvicinò e li spronò verso il futuro. Dopo qualche lavoretto per aiutare la propria famiglia, il Signor Pavesi iniziò a lavorare, nel 1955, come garzone presso un fioraio che di cognome faceva Negri, giusto per essere chiari, significa che aveva 14 anni e con già esperienze di lavoro alle spalle. Negri, come spesso avveniva in quella Milano, non si dimostrò un semplice datore di lavoro ma un mentore e una figura di riferimento. Da lì, infatti, il Sig. Pavesi avrebbe fatto della professione di fioraio la sua vita.

Gli aneddoti narrati in seguito divennero a buon diritto perle di una memoria non solo personale ma collettiva.

Toccante la vicenda del ragazzo che non usciva mai di casa per la vergogna d’essere affetto da elefantiasi e che tentava di sconfiggere la solitudine con la lettura: Pavesi ne divenne amico e accrebbe la propria conoscenza grazie ai libri che lo sventurato gli consigliava di volta in volta. 

D’altro genere, ma meritevole di menzione, il vecchio proprietario di un bordello senza una gamba che per combattere il dolore causatogli dalla menomazione, faceva uso di droghe. Quando queste mancavano, si prendeva una ciucca e cominciava a girovagare per tutto il quartiere in bicicletta, lanciando strali ai passanti o al destino… Come facesse ad andare in bicicletta con una sola gamba rimane un mistero.

Da sbellicarsi dal ridere quando un fiaschetto di vino giungeva, con cadenza più o meno regolare, presso il barbiere locale e i clienti subivano una barba al sangue, causa mano non molto ferma del titolare.

Ma da non riuscire a trattenersi dallo sghignazzare fragorosamente, la storia di padre e figlio che di professione facevano i truffatori; travestiti di tutto punto da prelati, ripulivano le piccole diocesi della provincia con la scusa di false donazioni. Una volta, uno dei due, si recò presso il negozio di abiti sacri dell’Isola. Raccontò, con enfasi ed orgoglio, che un suo zio sarebbe stato nominato vescovo di lì a breve. Il proprietario/sarto si rivelò proprio della stessa altezza e corporatura di suo zio e chi meglio di lui avrebbe potuto indossare la purpurea veste per constatarne le misure. Vestito il sarto da vescovo e fattosi mostrare gli anelli, il malvivente fuggì dal negozio a gambe levate con un ricco bottino. Il proprietario, sempre agghindato in vescovili ed invernali abiti, gli corse dietro mentre il truffatore intimava agli astanti di bloccare quel pazzo, vittima di un colpo di calore cagionato dalla pesante stola. Era luglio e c’era un caldo della madonna!

I ragazzi del quartiere conoscevano quasi tutti i truffatori e i banditi della vecchia Isola; giocavano spesso con loro al Belot, la Briscola francese. Il Bezzi e il Barbieri sono tra i criminali più noti e, per quanto riprovevoli, nella zona non vi fu mai un problema a causa loro. Tuttavia il Sig. Pavesi tiene a sottolineare che il rione era fatto di gente perbene. Milanesi con la cultura dei mestieri e della legalità, specchio di una città che ci ha donato vanto e gloria.  Dove il sciur e il manovale se la raccontavano alle bocciofile e alle osterie e le barriere sociali non esistevano; dove i medici condotti ti visitavano a domicilio, divenendo componenti della famiglia; dove il lavoro era il fulcro della società e la società determinava la dignità del lavoro. 

È una bella Milano quella descritta dal Sig. Pavesi. Una Milano che, a dispetto dell’idealizzazione del passato, credo manchi a tutti. Anche a coloro che non l’hanno mai veduta. E il ricordo di quei tempi, come chiude il savio fioraio, può forse essere d’aiuto in questi tempi di arida umanità.

Ce lo auguriamo davvero, Signor Pavesi.  E chissà, magari in futuro, quando la Milano della finanza, del marketing, della sterile comunicazione e della pletora di insulsi locali avrà fatto terra bruciata di tutta la poesia di cui eravamo capaci, qualcuno, leggendo le sue parole, ricomincerà proprio da lì. 

Buon Natale Signor Pavesi. E Buon Natale a tutti voi dalla Redazione di Viveremilano

Riccardo Rossetti

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