TRA LE RIGHE

"Golia, la marcia del fascismo" di Giuseppe Antonio Borgese

Dopo decenni che ospitavo un libro risalente al lontano 1946: "Golia, la marcia del fascismo", pagato ancora in lire: 50.000, ad una bancarella sita a Milano in piazzale Cordusio, finalmente ecco prendere il coraggio a due mani e, dagli scaffali della mia biblioteca, il libro per leggerlo e gustarmene tutte le sue 500 pagine. 
Si è trattato di un vero e proprio piacere, essendo l'autore uno scrittore del calibro di Giuseppe Antonio Borgese. Vale a dire uno fra i massimi scrittori italiani, nato a Polizzi Generosa in provincia di Palermo nel 1882 e morto a Fiesole in provincia di Firenze nel 1952.
Borgese, conviene ricordarlo, fu tra i tredici accademici universitari che si rifiutarono di prestare giuramento al fascismo e perdere con esso dignità e coerenza, in cambio della perdita del posto di lavoro e della futura pensione.
Al massimo prestarono attenzione a un movimento simile che minacciava di trasformarsi e deformarsi nella sua follia in quello dei dervisci, i quali nella loro folle danza ballano girando su se stessi come cestelli di lavatrice durante la centrifuga, espellendo poi i panni dopo averli debitamente lavati - nel cervello - e strizzati - nella carne. 
Borgese, che si trovava negli Stati Uniti per tenere a Berkeley una serie di lezioni, rifiutò nel 1931, di apporre la propria firma sul documento che avrebbe attestato la propria adesione al Fascio e se ne restò in America (del Nord, che quella del Sud avrebbe poi accolto a conflitto finito molti ex residuati bellici) per ben 17 anni fino al 1948. Quindi fece ritorno in Italia per stabilirsi nella tranquilla e bella Fiesole, situata in collina a pochi chilometri da Firenze. Da lassù si riesce a godere un panorama meraviglioso. Borgese scrisse "Goliath, the march of Fascism" tra il il 1935 e il 1937, pubblicandolo dapprima in America nel 1937-1938, e poi in Inghilterra, Olanda, Svezia, Argentina. Il libro approdò in Italia dopo una traduzione ottimamente eseguita da Doletta Caprin Oxilia quando ancora vi erano dei rischi nel maneggiare materiali definiti esplosivi nel maggio 1946, pubblicato dall'editore Mondadori, il quale mette sull'avviso i propri lettori del fatto di non essere perfetta come edizione, essendo da poco usciti dall'immane catastrofe bellica. Eppure, nonostante ciò, la stampa e la carta utilizzata sono più che decenti, e gli errori rilevati sono ben pochi. "Golia" descrive nelle sue prime due parti l'origine della razza italiana, per partire dalla terza le figure di D'Annunzio e Mussolini. Quest'ultimo approda all'occhio del lettore da pagina 187, e da qui l'Autore ne fa la storia come poi Benito la Storia la modellerà a suo piacimento. Fu abbastanza facile impadronirsi della Nazione, perché la monarchia cedette il trapasso con fair play, dato che il re temeva di fare la fine che di recente era stata riservata dai comunisti russi allo Zar. Così il lavoro sporco fu affidato ai fascisti, e sebbene il nero di questi contro il rosso di quelli mescolato si tramutò nel rosa da ciclista che taglia il traguardo, qui non si ebbe vittoria alcuna, ma tutti risulteranno prima o poi perdenti. Il libro di G.A. Borgese sa molto di storia ma non si accanisce più di tanto contro la triste figura di Mussolini, anche perché non ce ne è bisogno, sebbene: quando l'Autore licenziò il libro, si era a metà degli anni Trenta e ancor prima dell'adesione alla vergogna delle leggi razziali, dell'avvio della Seconda guerra mondiale e della fine di lei e subito dopo di Lui. Nel libro l'editore ha inserito un foglietto dove si legge, riguardo alla pubblicazione di un libro di Domenico Bartoli sulla figura di Vittorio Emanuele III: "E' prossimo il referendum" (che sarebbe poi avvenuto il due giugno 1946), e dove si mostra il mezzobusto di un uomo dagli occhi spiritati. Nel saggio di Borgese l'Autore parla delle settanta auto che fuggirono a fari spenti il nove settembre 1943, dirette a Brindisi: "Ciò che la monarchia fece o tollerò, tollerò e fece nella marcia su Roma fu poco in paragone alla catastrofe in cui trascinò l'Italia nella sua, per così dire, 'marcia da Roma': il corteo delle settanta automobili a lumi spenti, 9 settembre 1943".
Leggere un libro come questo scritto in un nero periodo: metà degli anni Trenta e pubblicato dieci anni dopo: metà anni Quaranta, significa comprendere a freddo ciò che fu scritto a caldo, ospite di quell'America che pur con tutti i suoi difetti (chi non ne ha?) ha saputo dapprima accogliere e poi intervenire decisamente nella risoluzione positiva, di un conflitto negativo.
Antonio Mecca

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