TRASFERTA ITALIANA 14
- 24 dicembre 2021 Cultura

Decisi
di recarmi in via Farinelli, dov'era andato alcune ore prima Frank Stevens, lì
si trovava la villetta segnalatami dal collega americano. Vidi ben presto la
macchina che Frank aveva ripreso col telefono, inviandomi le relative immagini.
Mi avvicinai, tentandone la maniglia, che però rimase chiusa. Mi recai alla
porta di ingresso della casa; anche lì la maniglia non cedette. Mi diedi da
fare con una sorta di chiave universale, che ben presto ebbe ragione della
serratura. Tolsi dalla fondina la pistola, sbloccandone la sicura. L'interno
era buio, ma mentre avanzavo mi parve di avvertire un rumore, una sorta di
ansito affannoso. Dall'interno trapelava una striscia di luce, precisamente
dalle listarelle semichiuse delle tapparelle. Avevo nella mano sinistra una
piccola torcia elettrica, che accesi indirizzandone la luce davanti a me. Così
lo vidi: legato, imbavagliato e disteso sul pavimento.
- Frank! – esclamai avvicinandomi. Quindi abbassai la pistola e mi misi
a lavorare sul suo bavaglio prima, e sulle corde poi. Non appena fu
sbavagliato, il mio collega e amico prese a parlare.
- Sapevo che mi avresti rintracciato – disse. – Quello che non sapevo
era quando.
- Non si può sapere tutto – replicai finendo di slegarlo con la lama di
un coltellino che sempre mi porto in tasca. Fu allora che vidi sul pavimento,
non lontano da dove ci trovavamo, il corpo di un uomo innegabilmente morto,
ucciso da un colpo di arma da fuoco indirizzatogli alla tempia.
Stevens, che aveva seguito la direzione del mio sguardo, disse:
- Ti presento il cliente di Vania.
- La quale adesso dove si trova?
Dopo essere stato liberato Frank si sollevò in piedi, barcollando e
rischiando di cadere. Ebbi cura di sostenerlo, e di aiutarlo a fare qualche
giro per la stanza fino a quando il sangue riprese a circolare. Mi feci
raccontare quello che aveva vissuto da quando era entrato nella casa, sotto la
minaccia dell'arma che aveva freddato Genzani. Quindi passai ad informarlo su
ciò che avevo fatto una volta approdato al “Parigi”.
- Ora è chiaro che questo povero imbecille – proseguii indicando il
cadavere steso sul pavimento – ha venduto ai russi la documentazione relativa
ai segreti militari degli aerei ai quali ha lavorato, e che Vania ha finto di
adescarlo per poi ritirarli tranquillamente e dargli il denaro promesso. E
adesso è probabile che il duo abbia preso il volo per l’ex Unione Sovietica ma
pur sempre attuale nazione affamata di segreti relativi a invenzioni altrui. Il
lupo perde il pelo, ma non il vizio.
- Lo facciamo anche noi americani e voi europei – disse lui
saggiamente. – Il mondo va così da sempre.
- E per sempre – conclusi io. Dopodiché ci demmo da fare per perquisire
la casa, nella speranza rivelatasi poi vana di trovare qualcosa. Quindi uscimmo
nella calda sera di luglio.
Antonio
Mecca