IL RISORGERE DEL MALE 22

Quella sera c’ero anch’io fra il pubblico di esagitati presente nella platea dell’auditorium. Guardandomi intorno non vidi né neri, né gialli, né persone che non sembrassero bianchi anglosassoni di pura razza WHASP. Vale a dire, originari del ceppo inglese, che poi altro non era se non il ceppo sopra il quale i condannati a morte posavano la loro testa prima che il boia gliela facesse rotolare mediante un secco taglio netto di ascia. Quel ceppo lordo di sangue gli inglesi se lo erano portato appresso dalla madrepatria, utilizzandolo come tamburo di guerra nella lotta contro le popolazioni autoctone presenti da lungo tempo sul territorio del Nuovo Mondo. Quindi lo avevano riutilizzato come ceppo sopra il quale giustiziare: vale a dire trucidare, migliaia di persone: uomini, donne, bambini. Ora, non contenti di tutto il male che già avevano provocato, desideravano riprendere a uccidere per sottomettere le minoranze in lotta per un giusto riconoscimento di un trattamento equiparabile a quello dei bianchi, e farle quindi retrocedere nelle riserve per loro predisposte. Le riserve mentali che questi farabutti si facevano da secoli li spingevano ad agire così per paura di venire sottomessi da razze impure. Ed ecco quindi il proliferare di gruppi di destra di stampo neo-nazista che nella prima metà del Novecento aveva lordato il secolo ancora giovane e pieno di speranza. Gli anni della prima metà di quel secolo avevano partorito nell’ordine: una guerra su scala mondiale, la nascita del comunismo in Russia, quella del fascismo in Italia, del nazismo in Germania e una seconda guerra mondiale. A corollario di tutto questo c’era stato come ciliegina sulla torta la creazione della bomba atomica, una delle invenzioni più nefaste che la mente umana potesse partorire. Ed ora, la storia si ripeteva. Per entrare in quella sala si doveva passare attraverso un metal detector come quelli presenti in aeroporto, in modo che si fosse sicuri che chi entrava non fosse armato. Bisognava infatti essere disarmati e disarmanti di fronte alla pericolosa stupidità organizzata e messa in atto da gente il cui cervello era avvelenato dall’odio di casta. E magari fosse stata casta pure quella follia. Un mental-detector ci voleva: per rilevare il grado di idiozia celato dentro il cervello di chi oltrepassava quella soglia. Un megaschermo piazzato dietro la tribuna rimandava le immagini del pubblico, ripreso da più telecamere. Erano passate da pochi minuti le nove quando un campanello suonò. Il brusio nella sala si abbassò fino a cessare del tutto. Sedevo con alla destra un pinguino in camicia bianca su pantaloni neri e braccia corte come il suo cervello, mentre alla sinistra c’era una donna di età incerta. Pareva, il suo sguardo, pendere voglioso e quasi implorante come quello di una neonata verso la madre. Ed eccola, la madre in questione: un uomo, vestito da gerarca nazista. Un uomo che non era stato un uomo bensì un mostro, un essere persino ridicolo a vederlo ma che ad ascoltarlo ti faceva tremare dalla paura al suono potente della sua voce sgraziata, e inorridire nell’ascoltare le sue farneticanti teorie. Quest’uomo era… Hitler in persona!
Un mormorio di sorpresa misto a qualcos’altro: paura, sgomento, gioia, ammirazione, incredulità, passò attraverso la grande sala. Accanto all’uomo, si piazzarono altre sinistre figure che non certo per il fatto di essere sinistre erano meno aberranti, poiché i totalitarismi: di qualunque colore originario siano, finiscono sempre per assumere il colore del sangue da loro fatto versare. Fra queste schifose figure, indossanti le stesse uniformi, spiccava la fisionomia di George Walkermann. Gli altri tre erano la coppia dei fratelli Mitridevic, più un tale che mi pareva avere fatto parte del gruppo al ristorante “Da Henry”. Il megaschermo inquadrava in primo piano e a grandezza da gigante un nano di statura e di cervello che solo il potere aveva reso grande. L’uomo che somigliava al furher in maniera così impressionante sollevò il braccio destro nel saluto nazista mutuato dal fascismo di Mussolini e chiese silenzio. Dopodiché la sua voce, quella voce: metallica, priva di inflessioni umane, sgraziata e sgradevole all’udito come il suono prodotto da una lama che morda il metallo prese a parlare, in un inglese con inflessioni tedesche dure come chiodi di acciaio. Gli stessi chiodi che avevano crocifisso in tutto il Paese numerose persone. 
- Il momento della riscossa è giunto! Dopo anni di predominio giudaico-bolscevico, la razza ariana guida delle nazioni caucasiche ed è decisa a riprendersi lo scettro del comando. Basta sottomissioni al nemico della libera impresa, agli eredi degli assassini di Cristo. La croce sulla quale il Signore fu inchiodato e che ancora gronda del sangue da Lui versato sarà il nostro vessillo con il quale soffocare le fiamme dell’inferno dal quale quei demoni sono scaturiti. La croce sopra la quale Lui agonizzò sarà il nostro emblema, unito a quello di un’altra croce: quella uncinata, che già nella sua forma ricorda soldati in marcia contro il nemico, o l’ingranaggio mancante la cui sola presenza è l’unica condizione affinché il meccanismo della macchina stritola-nemici può funzionare. Non saremo più costretti a incappucciarci nel partecipare alle nostre riunioni, per difendere il nostro territorio e le nostre genti da coloro che ne minacciano la specie. L’orgoglio di ciò che eravamo si sposerà con quello che ora siamo e saremo nel futuro, un futuro che vedrà la razza bianca e cristiana guidata dall’etnia tedesca messa alla conduzione del mondo civilizzato. E sarà proprio l’America, il Nuovo Mondo, ai tempi della sua scoperta vero e proprio paradiso terrestre, a trasformarsi nel prossimo Nuovo Mondo che ospiterà tutti gli spiriti liberi che vogliono continuare a mantenere la propria libertà. L’America con i suoi vasti territori è stata per noi del Vecchio Mondo un dono che il Signore ha concesso ai suoi figli più meritevoli. Questo Paese è stato forgiato dalla nostra razza: quella bianca, che con il proprio lavoro e la propria moralità ha sconfitto la barbarie di sotto-razze prolificanti uomini-bestia. Indiani, negri, cinesi altro non sono che il sottoprodotto bastardo di specie destinate dalla Storia a venire emarginate quando non eliminate. Se il Signore ci ha predestinato a primeggiare, ci sarà pure una ragione. Così come gli uomini primeggiano sugli animali, che ci servono da nutrimento e da aiuto nel lavoro, allo stesso modo la nostra razza primeggia sulle altre affinché il nostro mondo diventi più sicuro e sereno. L’Africa e l’Oriente non sono altro che palle al piede che ci impediscono di marciare col vento in poppa verso un futuro radioso. Un futuro che vedrà la proliferazione di una razza degna delle teorie superiori che nate nella prima metà del Novecento, cento anni dopo la loro nascita si svilupperanno rapidamente incarnandosi in uomini e donne dal fisico perfetto, belli di una bellezza pura, biondi con gli occhi azzurri e dal corpo statuario. Noi siamo gli scienziati che metteranno a punto questa dottrina dopo averla battezzata. Il nostro credo sarà: Dio, Patria e Famiglia. Da queste terre ancora in gran parte vergini verrà fecondata la nuova razza con il seme della purezza ariana. La soluzione finale è stata sospesa solo momentaneamente. Per coloro che si illudevano di imporre la propria blasfemia nel governo dei popoli, è giunto il momento della loro fine. 
Seguitò a parlare con lo stesso tono delirante per un’altra mezz’ora, galvanizzando la platea che pendeva dalle sue labbra sormontate da quei ridicoli baffetti a francobollo. Il megaschermo continuava a rimandare la sua immagine dagli occhi scuri spiritati, dalla bocca cattiva impegnata nel proferire oscenità, con il ciuffo di capelli neri pettinati nella nota posa ribelle che anche Picasso aveva avuto quando ancora i capelli albergavano sopra il suo cranio. D’altronde entrambi erano stati pittori. Il secondo aveva inventato il cubismo; il primo lo aveva messo in atto. L’ultimo atto di una tragedia che si avviava al suo inevitabile epilogo. Guernica era in realtà opera di Hitler, come il buon Pablo aveva giustamente affermato. Il Male incarnatosi in un mezzo uomo che pure una donnetta avrebbe potuto atterrare con un ceffone ben piazzato il quale aveva abbandonato il pennello per passare al rullo. Il rullo compressore con il quale spianare la strada che il suo folle delirio e la sua insaziabile ambizione gli imponevano di sgombrare da quelli che lui e altri come lui ritenevano impedimenti affinché la grande, meravigliosa Germania potesse giungere al traguardo prefissatosi: quello di nazione guida di tutta la costellazione dei rimanenti (e con simili sanguinari sterminatori al potere la parola giusta era proprio quella) Stati che ancora sopravvivevano alla follia di colui che la comandava. Era una fortuna, per lui e per me, che addosso non avessi un’arma. Perché in tal caso gliela avrei scaricata contro, dubitando di riuscire a farlo fuori ma non dubitando affatto su quella che sarebbe stata la mia fine. La fine invece del comizio vide quel guitto così somigliante all’originale uscire dalla sala scortato dalla sua guardia pretoriana. L’arringa difensiva per loro e offensiva per l’intelligenza e il buon senso aveva lasciato il suo segno. La gente abbandonava il salone dei congressi mormorando a bassa voce, ancora incredula su quanto aveva sentito e soprattutto veduto. Uscii a mia volta, cercando con lo sguardo il neo Hitler e la sua scorta. Il mentore George non mi fu possibile trovarlo. Avevo però un punto a mio favore, un punto-croce (uncinata): la microspia piazzata sulla sua auto. Salii quindi sulla mia, di auto, parcheggiata non lontano dall’albergo in cui avevo ancora depositate le mie cose, e misi in funzione il rilevatore di presenza. Sul piccolo schermo apparve un quadratino verde in movimento, segno che la Ford Imperial stava procedendo sulla strada. Accesi quindi anche il motore e partii. Ipotizzavo che la macchina di George fosse diretta in città, e infatti così era. Il quadratino si ingrossò, segno che la distanza che mi separava dalla sua auto andava diminuendo. Premetti più a fondo l’acceleratore, e dopo un dieci minuti eccola all’orizzonte. Potevo scorgere i fanalini di coda e, anche, ascoltare le voci all’interno dell’auto. Voci che parlavano in tedesco. Riconobbi quella di Walkermann, e quella più giovane di Hitler che gli rispondeva. Per lo meno così mi parve, poiché adesso il caro Adolph non parlava più con voce tonante come sul palco, né con la cattiveria che il suo predecessore usava manifestare davanti alle adunate oceaniche che così tanto rendono rassicurati i dittatori. Perché la folla è formata da tante unità che soltanto in massa possono illudersi di contare qualcosa. Ciascuna di loro è come un grado che, da solo, non conta nulla. Ma insieme formano tanti gradi tali da ubriacare un'intera nazione. Non comprendendo la lingua della Merkel non potevo sapere cosa si andavano dicendo. Intervennero poi altre due voci: una maschile e una femminile. Parlavano fra loro in lingua slava, per cui mi fu facile immaginare a chi dovessero appartenere.
Antonio Mecca