ACCADDE IL 6 MAGGIO

6 maggio 1976 – Terremoto del Friuli: ingentissimi danni e circa 1000 morti di cui la maggior parte nelle zone centro-nord




Il terremoto del Friuli del 1976 (soprannominato dai locali Orcolat (Orcaccio in lingua friulana)) fu un sisma di magnitudo 6.5 della scala Richter che colpì il Friuli, e i territori circostanti, alle ore 21:00:12 del 6 maggio 1976, con ulteriori scosse l'11 e 15 settembre. È ricordato come il quinto peggior evento sismico che abbiano colpito l'Italia nel '900, dopo il Terremoto di Messina del 1908 (magnitudo 7,1 con 60.000/80.000 vittime), il Terremoto della Marsica del 1915 (magnitudo 7,0 con 30.000 vittime), il Terremoto dell'Irpinia del 1980 (magnitudo 6,9 con 3.000 vittime) e il Terremoto dell'Irpinia e del Vulture del 1930 (magnitudo 6.7 con 1.400 vittime).

La zona più colpita fu quella a nord di Udine. Fu inizialmente indicato che l'epicentro della scossa era nella zona del Monte San Simeone, tuttavia questa indicazione fu smentita dagli studi successivi. Il catalogo parametrico dei terremoti italiani individua un epicentro macrosismico situato tra i comuni di Gemona e Artegna, nelle vicinanze della località Lessi e un epicentro strumentale localizzato più a est fra Taipana e Lusevera, attribuendo all'evento una magnitudo 6,5. Ci sono vari studi sull'epicentro e sulle faglie coinvolte nel sisma, non tutti concordanti. Uno degli studi più citati è quello di Aoudia e altri (2000) che colloca l'epicentro nel gruppo del monte Chiampon, nei pressi di Pradielis e Cesariis. Secondo tale studio, di cui esiste una traduzione in italiano, "il terremoto del Friuli del 1976 è da mettere in relazione ad una piega connessa a faglia che evolve da fagliazione cieca sotto le strutture di basamento del monte Bernadia e del monte di Buia, a faglia semi-cieca sotto la struttura neogenica del monte Susans e che finisce nella piega di Ragogna".

I danni furono amplificati dalle particolari condizioni del suolo, dalla posizione dei paesi colpiti, quasi tutti i posti in cima ad alture, e dall'età avanzata delle costruzioni. I paesi andati distrutti non avevano infatti riportato danni rilevanti nella prima e nella seconda guerra mondiale, a differenza di San Daniele del Friuli che, semidistrutta dai bombardamenti aerei del 1944, aveva dovuto ricostruire gran parte della sua struttura urbana con criteri moderni; la città pagò comunque gravi danni al patrimonio artistico con la devastazione delle chiese e degli antichi palazzi di fattura medievale, e il crollo di una manciata di edifici del centro storico provocò molte vittime. Nonostante gli ingenti danni, ebbero meno morti per i crolli i paesi della Carnia ad ovest del Tagliamento, (Cavazzo, Verzegnis, etc.), in quanto gli edifici, dopo il terremoto del marzo 1928, vennero riparati o ricostruiti con criteri per l'epoca antisismici, cioè con l'utilizzo di catene e bolzoni per rinforzare le strutture edilizie.

La scossa, avvertita in tutto il Nord Italia, investì principalmente 77 comuni italiani con danni, anche se molto più limitati, per una popolazione totale di circa 80.000 abitanti, provocando, solo in Italia, 990  morti e oltre 45.000 senza tetto. Anche la zona dell'alta e media valle del fiume Isonzo, in territorio jugoslavo (in Slovenia) venne colpita, interessando in particolare i comuni di Tolmino, Caporetto, Canale d'Isonzo e Plezzo; In totale vennero danneggiati 12.000 edifici, di cui circa 4.000 distrutti durante o dopo il terremoto, ma non vi furono vittime.


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