ASSASSINIO A BORDO 6

Aspettai all’incirca dieci minuti. Cinque per permettere alla domestica di informare la sua signora, e altri cinque per permettere alla signora di dimostrarmi che di una signora si trattava. Poi, esauritosi il tempo previsto per la messa in scena, ecco fare ritorno la bella domestica, la quale questa volta mi elargì anche di un sorriso di simpatia foriero di futuri buoni sviluppi.

- La signora è disposta a riceverla. Per qualche minuto – ci tenne a precisare.

- Immagino sia una persona sempre molto occupata. A contare i denari che il marito le ha lasciato. E forse non solo il marito.

La ragazza evitò di sorridere, limitandosi a precedermi lungo la stradicciola che si fermava all’ingresso della magione. Saliti gli scalini di prammatica: tre in tutto, i quali innalzavano al mini Olimpo, eccoci in un

bell’atrio dal lusso precorritore di quello del resto della casa. Dopodiché svoltammo a destra per approdare in quello che pareva essere un soggiorno: essendo vicino all’uscita, ma non doveva essere l’unico e il più lussuoso. Non c’era nessuno nella stanza. Solo mobili di lusso, una libreria carica di grossi volumi dalla

copertina rilegata in pelle e relegati nelle scansie in legno, volumi che forse mai erano stati letti né sfogliati e neppure sfiorati, più quadri e statue e altri oggetti di valore.

- Si accomodi - invitò la bella fanciulla indicandomi una poltrona di velluto azzurro. - Posso offrirle un drink?

- La ringrazio, ma per me è ancora presto.

- E quando, invece, non lo è? - chiese ironica.

- Mai. L’alcool mi fa girare la testa. E non vorrei che nel farlo distogliessi lo sguardo - sia pure per un solo

  momento - dalla sua graziosa persona.

La ragazza lasciò la stanza dopo avermi rilasciato un sorriso di ringraziamento. Io mi guardai intorno, soffermandomi sulla biblioteca e sui volumi che ospitava, mi sembravano sempre più essere stati acquistati a peso per un effetto puramente visivo.

Una donna sulla quarantina, di alta statura, bella, ben vestita, fece il suo ingresso nella stanza. L’abito color turchese e l’anello blu cobalto sembravano ben sposarsi fra loro e soprattutto con le poltrone di velluto azzurro. Mi alzai al suo apparire.

- Buongiorno - salutò lei. - Prego, resti comodo. Desiderava vedermi?

- Più che altro ascoltarla, Miss Incerwood. Sono un detective privato, e vorrei saperne di più riguardo la morte di suo marito.

Lei si sedette a sua volta.

- Cosa vuole sapere riguardo mio marito? Lo saprà già come è morto, no?

- No, non lo so. E forse non lo sa neppure lei, anche se le è stato detto a causa di un attacco di cuore. Soffriva di cuore, suo marito?

Lei evitò di guardarmi. Quindi rispose: - Non che io sappia.

- Ma poi, all’improvviso, il cuore gli si è fermato. Quale può essere stata la causa, Miss Incerwood?

- Cosa ne posso sapere, mister…

- Miller. Come la birra omonima.

- Venga al dunque. Cosa vuole sapere esattamente da me?

- Conoscere le cause della morte di suo marito.

- L’ha già detto più volte. Le darò una risposta che spero valga per tutte quelle precedenti. È morto 

   per infarto, come il coroner ha avuto modo di constatare e di confermare.

- Nonché di cofirmare apponendo la propria firma a quella di qualcun altro. Come si chiama questo qualcun

altro, o perlomeno come si chiama il coroner?

Questa volta ottenni l’effetto di farla arrabbiare.

- Insomma: perché questo intestardirsi da parte sua sulla morte di mio marito?

- Perché ho una mezza idea al riguardo che spero molto si possa trasformare in intera.

- E quale sarebbe, questa mezza idea?

- Thomas Incerwood è morto più o meno nello stesso giorno: il 16, nel quale il panfilo My Flower era salpato

due giorni prima dal porto di San Diego per le coste del Messico, per poi farvi ritorno dopo soli due giorni.

- Mi fissò sospettosa.

- E con questo?

- E con questo non potrebbe essersi trovato a bordo anche lui, per finire quindi ucciso da qualcosa o da qualcuno ed essere quindi trasportato nella sua casa?

- Lei deve essere pazzo!

- Forse. Ma sono anch’io un poliziotto, seppure privato.

- Privato del senno, però. Mi faccia la cortesia di uscire da casa mia.

Le sorrisi. 

- Che effetto le fa dire: “Casa mia”, invece di “Casa nostra”, come quando suo marito era ancora in vita ed

entrava in “Casa sua”?

Si alzò, furente. La imitai, deferente. 

- La ringrazio comunque per avermi ricevuto, e ascoltato. Il suo comportamento mi ha inoltre rivelato più delle sue parole.

Lasciai la stanza e la bella casa. La ragazza di prima si materializzò per precedermi lungo il sentiero che conduceva al cancello, lo aprì sorridendomi con fredda cortesia. La ringraziai.

Antonio Mecca

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