ASSASSINIO A BORDO 9

Approdai al mio piano, il terzo, aprii la porta del mio appartamento ed entrai in casa. L'ordine presente mi sembrava lo stesso del passato, quando cioè avevo lasciato l'appartamento quella mattina. Mi diressi nella stanza da bagno, dove lo specchio sopra il lavandino rimandò - forse perché a lui non gradita - la mia immagine arricchita di varie ecchimosi, che non sarebbero scomparse prima di diversi giorni. Poi uscii, dirigendomi nella camera da letto. Pur con i dolori che mi affliggevano, riuscii - dopo avere inghiottito alcune pillole antidolorifiche - a infilarmi nel letto e a riposare per diverse ore.

Il mattino successivo avvertii vari dolori su tutta la mia persona, ma una doccia rigeneratrice mi servì per recuperare almeno in parte la stabilità solita, che seppure non granché era comunque, almeno per me, essenziale. Era stato un avvertimento, quello, che poteva essere partito dopo la segnalazione di una delle tre persone con le quali avevo avuto modo di interloquire: Lorella Pearson, Johanna Incerwood, Thomas Gonuchi. Forse quest’ultimo dovevo eliminarlo dalla lista, poiché non ci sarebbe stato il tempo materiale di preparare l'agguato. Ma per i primi due…

Sì: doveva essere andata così.

Ma io non intendevo fermarmi, e questo non soltanto per il denaro già versatomi ma anche per una questione più strettamente personale, per l’orgoglio calpestato che tentava di scrollarsi la polvere di dosso e di rimettersi in piedi. Bastava che non mi rimettessi sui piedi a causa del vomito conseguente alle botte ricevute. Per cui, dopo avere fatto colazione con un caffè -il più forte possibile- accompagnato da uova e coltello, aprii il cofano, mi vestii e uscii, ma questa volta equipaggiato con un revolver carico accompagnato da un caricatore di riserva. Raggiunsi la mia auto, controllai che i pneumatici non fossero stati squarciati da lame e per dare una veloce e speravo competente occhiata al motore, quindi salii a bordo. Non pensavo di saltare in aria perché, se avessero avuto l’intenzione di farlo, allora non sarebbe stato necessario il pestaggio somministratomi. Avevo intenzione di dirigermi all’impresa funebre che aveva approntato i funerali di Incerwood, che si trovava, come appreso dai giornali, in Almont Street, nei pressi di Bunker Hill.

L'impresa si chiamava Palermo, diretta da un lugubre individuo che pareva essere sbarcato dalla nave cargo Palermo-New York e dalla Grande Mela essersi poi diretto alla Grande Prugna, visto che la California era famosa per la produzione di questo frutto che così tanti benefici apporta ai nostri stomaci. Di età oscillante come il passo di un ubriaco su un tapis roulant sembrava aggirarsi tra i cinquanta mal portati e i sessanta portati così così. Era abbigliato dalla testa ai piedi non di nero fumo di Londra, bensì di nero fuliggine, come se fosse stato appena espulso non da una canna di fucile bensì da una canna fumaria. Solo la camicia era bianca sotto tutto quel nero, al pari di una dentatura nuova di zecca nella scura bocca di un negro del profondo Sud. Quando mi vide avanzare verso di lui, che se ne stava ritto sulla soglia della bottega a fumare e a ridurre in cenere, pure lui, il sigaro lungo e sottile che teneva fra le labbra rosse quanto la brace all’estremità del sigaro, mi rivolse uno sguardo che andava sempre più intensificandosi man mano che mi andavo avvicinando.

- Mister Palermo? – mi informai.

Tolse il sigaro di bocca e ne scosse la cenere. 

- Sì - confermò.

- Mi chiamo Miller, sono un investigatore privato. È lei che ha composto la salma di Thomas Incerwood per Il suo ultimo viaggio?

Questa volta non fu pronto come prima nel rispondere affermativamente.

- Allora? – insistei.

Rimise il lungo e puzzolente sigaro fra le sue labbra non altrettanto lunghe né larghe ma di certo altrettanto puzzolenti, e poi disse: - Se ne è occupata la mia agenzia.

- E cosa avete riscontrato sul cadavere di Incerwood? Ferite di quale tipo?

L'uomo riprese a fumare, pensieroso.

- Incerwood è morto per infarto, perché all'improvviso gli si è fermato il cuore.

- Tutti noi moriamo perché ci si ferma il cuore – commentai. – Bisogna però vedere quale è stato il  motivo dell'arresto. 

- Cosa intende dire? - chiese dopo un altro tiro, talmente lungo da permettergli di riflettere sulla risposta 

da fornire.

- Vorrei sapere se Thomas Incerwood aveva su di sé ferite di vario tipo: di arma da fuoco, da taglio, ecchimosi provocate da pugni, o colpi di karate, o da impatto con la pietra, e non intendo pietra pomice. Dopo quanto tempo l'avete cremato, e chi ha deciso per la cremazione? 

Palermo disse:

- Sono stato chiamato dalla moglie, e da lei è partita la richiesta di cremazione. La nostra ditta ha così 

operato in questo senso, dopodiché: al termine della cerimonia funebre, la salma è stata destinata al forno

crematorio. 

- Potrei vedere una foto della salma?

- Non ne abbiamo - rispose con tono secco quanto il fuoco del suo forno inceneritore. - E poi le migliori foto sono quelle che ritraggono una persona quando ancora è in vita. 

- Ma le più veritiere sono quelle che ritraggono una persona subito dopo la sua morte. Quanto è venuta a costare l'operazione di maquillage riguardante Incerwood?

- Perché lo vuole sapere? È forse interessato a un futuro prossimo intervento su di lei? - chiese con una smorfia che secondo lui doveva rappresentare un simulacro di sorriso.

- Sono interessato a quanto vi è stato pagato per sistemare Thomas Incerwood e da parte di chi. Di costui non so nulla; per quanto riguarda il pagamento invece penso si sia trattato di una somma più che considerevole, una somma che ben difficilmente potrei permettermi. Un'ultima cosa: alla veglia funebre, la bara con il morto era già stata  sigillata?

L'uomo gettò uno sguardo a me e uno alla strada, per poi gettare il mozzicone nel mezzo.

- Adesso devo rientrare perché devo riprendere a lavorare - disse.

Sorrisi.

- Magari a ricucire carni lacerate e straziate da incidenti voluti? Quale tipo di sutura applica, Mister 

Palermo? Quella con ago e filo adoperata per ricucire i materassi? Materassi imbottiti di soldi invece che di lana? Nel primo caso la lana è stata ripulita, in questo invece è il denaro ad essere sporco. Come la coscienza di chi l'ha ricevuto.

Palermo entrò nel negozio sbattendo la porta. A me non restò altro da fare che girare sui tacchi e andarmene diretto alla mia auto.

Antonio Mecca

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