CODICE ROSSO Di Antonio Mecca Cap. 3

Il mattino successivo uscii, saltai sulla mia auto e mi diressi al carcere di San Vittore. Ci arrivai un quarto d’ora prima delle undici, trovai un posteggio. Mi incamminai verso la casa circondariale, resa famosa dalle canzoni della mala milanese al pari di Regina Coeli a Roma e Poggioreale a Napoli. L’avvocato Semprini arrivò un paio di minuti prima delle undici.

Mi salutò con un cenno della mano, al quale risposi con uno stesso cenno.

Attesi che scendesse dalla Skoda color verde, dopodiché ci facemmo incontro con la mano tesa. 

- Grazie per essere venuto – mi salutò sorridendo.

- Sono curioso di sapere cosa il suo cliente avrà da dirmi – confessai.

- Fra poco lo saprà – promise.

Semprini si avvicinò al portone del carcere, suonò il campanello e alla voce maschile che attraverso la grata del citofono chiedeva chi fosse si qualificò come “Alberto Semprini, legale di Luigi Alcesti”.

Il portone si schiuse con uno schiocco, sulla soglia comparve una guardia in divisa.

- Buongiorno – salutò l’avvocato. – Sono accompagnato dal signor Solmi, investigatore privato.

La guardia: un uomo di mezza età reso e arreso dalla quotidianità del proprio lavoro a una certa dose di cinismo, mi fece un cenno di saluto consentendoci quindi di entrare.

Percorremmo un corridoio affiancato da diverse porte e spianato dalla triste routine quotidiana, che ingrigiva e annegava il tutto nella disperazione. Poi entrammo  in uno stanzone adibito a sala parlatorio. Era occupato già da alcuni carcerati da un lato del tavolo e, nel lato opposto dai loro parenti, amici o legali. Alcesti si trovava già lì, seduto e con l’espressione del volto rassegnata. Quando ci vide parve in parte rianimarsi; si alzò e salutò con calore il suo avvocato.

- Sono felice di vedervi.

Io non lo ero altrettanto, ma evitai di dirlo.

- Luigi, il signor Solmi è disposto ad ascoltarti per poi decidere se accettare l’incarico o meno.

- Spero lo faccia – disse l’uomo riaccomodandosi. Io esordii nella conversazione chiedendo:

- Cosa voleva dirmi?

- Che non sono colpevole. Non l’ho uccisa io, la povera Anna. Sono stato incarcerato per sbaglio.

- Di tutto quello che ha detto sottoscrivo soltanto “la povera Anna”. Il fatto che si dichiari non colpevole e che sia stato incarcerato per sbaglio, è solo lei a dirlo e forse a pensarlo.

Sembrò intristirsi, e preoccuparsi. Per il fatto che io non avrei potuto accettare l’incarico?

- Non mi crede, vero?

- Non so cosa credere e a chi credere, Alcesti. Non ero presente al momento dell’uccisione di Anna Salviti, per cui come posso esprimermi al riguardo?

- Non sono stato io, e vorrei per questo che lei, Solmi, accettasse l’incarico di scoprire il vero assassino. La pagherò bene, non si preoccupi.

- Non sono affatto preoccupato, Alcesti. In carcere c’è lei, non io. E comunque fino ad ora chi ha pagato di persona è stata solo e soltanto Anna, che sarebbe morta anche prima se non avesse avuto la buona idea di premunirsi di una forma di protezione.

L’uomo sembrò sul punto di reagire a parole, visto che con i gesti non gli era possibile, ma seppe contenersi. Io rimasi in silenzio per un po’, quindi dissi:

- Va bene. Accetto.

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