CODICE ROSSO Di Antonio Mecca Cap. 6

Varcata la soglia mi ritrovai in un soggiorno di medie dimensioni, dove campeggiavano un divano e due poltrone a fronteggiarlo, e un esemplare di ex uomo seduto su una delle due poltrone con lo sguardo più spento del televisore presente.

- Mio marito - lo presentò infatti lei, quasi rassegnata.

L’uomo accennò quello che voleva essere un saluto ma finiva per essere soltanto un borbottio indistinto.

Dava l’impressione di superare in età la moglie di circa quindici anni, tre lustri. Sembrava essere anche impedito nella deambulazione, e a testimoniarlo stavano le gambe, che pur ricoperte dal tessuto dei pantaloni di fustagno parevano far trapelare tutta la sua magrezza.

- Sieda pure – invitò la donna indicandomi la poltrona libera e il divano con un movimento a semicerchio

della scarna mano. Io sedetti sulla poltrona, mentre lei si piazzava a un angolo estremo del divano tappezzato, come le poltrone, di un tessuto a fiori, stinto al pari della donna, che forse da giovane era stata un fiore pure lei ma ora la freschezza era trasmigrata nella figlia.

Una sua foto a colori, campeggiava in bella mostra sulla mensola, mostrando una ragazza di bell’aspetto ritratta a mezzobusto, con un sorriso luminoso che sembrava inondare l’obiettivo. Pensai a quanto ci danno le giovani donne senza che noi uomini restituiamo loro neppure il minimo. Il tutto fa parte della generosità della donna, come ben scriveva l’antropologa Ida Magli.

- So che affrontare l’argomento è per lei doloroso – dissi, - ma sto indagando sulla morte di vostra figlia, e

intendo saperne il più possibile.

Il vecchio uomo gorgheggiò un qualcosa che poteva anche passare per una frase, una frase pronunciata a pelo dell’acqua.

- Non ho capito – ammisi.

La moglie tradusse.

- Ha chiesto chi è lei, e perché è qui da noi.

Mi rivolsi a entrambi.

- Sono un poliziotto privato – risposi, e così dicendo mostrai la tessera. – Sto cercando di scoprire chi ha ucciso Anna.

Il vecchio chinò la testa in avanti, come quella di un burattino dal quale la mano dell’animatore fosse stata

estratta di botto. La moglie, sollecita, si alzò per soccorrerlo.

- Carlo, stai calmo. Dobbiamo cercare di saperne di più anche noi, dobbiamo farlo per Anna, la nostra

bambina.

Un luccichio comparve nel fondo dei suoi occhi.

- Cosa vuole sapere, signore? – disse quindi rivolgendosi a me.

- Anna aveva trovato lavoro in un ristorante? – le chiesi ricordandomi di averlo letto sul giornale all’indomani della sua morte.

- Sì. Un ristorante di Monza, specializzato in piatti di pesce. Lavorava lì da circa due mesi.

- Si trovava bene?

- Sì, certo. Inoltre le mance erano generose, e aiutavano non poco nell’andamento familiare.

- La ragazza abitava ancora qui con voi?

- Sì. Ma aveva conservato l’appartamento dove aveva abitato prima con quel…

- Sì, ho capito. Non ho capito invece le modalità del suo assassinio.

I due vecchi coniugi sembrarono nuovamente sommersi dal dolore, ma la donna seppure a fatica riuscì a rispondermi.

- L’hanno trovata sulla riva della Martesana, di notte, dopo avere terminato il turno di lavoro del mezzogiorno. Aveva la gola squarciata dalla lama di un coltello, forse lo stesso coltello che aveva cercato

di ucciderla in precedenza.

- Quello non è stato restituito al suo mancato assassino – le ricordai. – Quando, per il medico legale, è avvenuto il delitto?

- All’incirca tre ore, se non ricordo male.

- Si era recata al lavoro quel giorno?

- Sì. Aveva terminato il turno di mezzogiorno, che andava dalle dodici alle due, e avrebbe dovuto essere in

pausa per poi riprendere alle sette, con apertura del ristorante alle otto e chiusura a mezzanotte.

Di solito faceva rientro a casa sua.

- Capisco. Quando invece è stata trovata morta, che ora era?

- All’incirca le due di notte. Sembra che Anna dopo la pausa delle due sia uscita dal locale e non vi abbia più

fatto ritorno, tanto è vero che i proprietari ci telefonarono per chiedere se era qui da noi; e questo dopo

avere telefonato a casa sua, e non avere ricevuto risposta.

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