È ORA, FRATELLO 11 - di Yari Lepre Marrani

Fatti pochi passi quella folla inferocita iniziò a gettarmi contro tutto quanto poteva gettare, sassi, uova, sterco, fango, pezzi di legno come in una bizzarra lapidazione. E, fatti atri passi, vidi un carro di legno con le sue ampie ruote dai lunghi raggi e una sedia sopra alla base di una transenna in ferro e, davanti al carro, due vacche grasse e maculate che dovevano trainarlo. Non persi i sensi, non impazzii come si potrebbe pensare, mi limitai ad accettare supinamente il mio destino che si mostrava tanto delittuoso. Una volta accettatolo, tutto era più facile, anche essere scuoiato vivo come San Bartolomeo, magari agganciato a un tronco d’albero, come lui. Ed accanto al carro trainato dai buoi, due uomini a cavallo con stivali marroni, spade nel fodero, due curiosi cappelli a punta, guanti neri, sguardi fissi verso l’orizzonte e un’aria da funzionari della morte. E, su tutti, un altro energumeno incappucciato da boia che, agitando le sue grandi mani e le sue forzute braccia, intimava duramente alla folla di placarsi. Ma quest’ultima pensava a tutto tranne che a farlo. Ero l’oggetto del loro smisurato odio che, uscendo dal quel sotterraneo, si era concretizzato ai loro sguardi. Ecco cos’era quel fragore di voci dannate che sentii quando raggiunsi gli ultimi scalini della prigione. E mentre quei pazzi diavoli gridavano e mi gettavano terra e sterco, il boia forzuto mi prese per il saio, non brutalmente ma con un’insolita gentilezza come se dovesse accompagnarmi, docile, ad un ricevimento di gala e mentre il frate, alla mia sinistra, si portava verso la staccionata provando a calmare quel fiume di gente imbizzarrita, l’altro si portò alla destra di quel carro che doveva condurmi al capestro. “Lasciaci fare, vogliamo gridare la morte a quel’ criminale! Hai capito tu?! La forca per te, l’inferno per te!!” udii da una voce maschile tra la folla mentre l’originale lapidazione continuava anche con verdure, pomodori, terra, limoni, arance. Il boia cercò di ripararmi dalla furia e, con quella stravagante aria di gentilezza, mi condusse verso il carro al fianco destro del quale il frate scheletrico era raccolto in silenziosa preghiera, meditando in stridente contrasto con il folle tumulto di odio che lo circondava. E il boia m’invitò a salire sul carro ed io lo feci come l’agnello sacrificale innanzi ai lupi, senza più resistere, trasportato dalla folla violenta, dai frati, dal destino, da tutto. Si, era l’Inferno. Adesso lo capivo. Se però questo era l’inferno non sapevo cosa aspettarmi dopo. Salito sul carro, il boia dal volto coperto abbandonò la sua falsa dolcezza e, brutalmente, mi fece sedere su quella sedia legnosa, appoggiato alla transenna. La folla gridava poi si placava, come una fisarmonica, sbraitava e calmava mentre il terzo bestione, raggiunto il carro e il boia, mi legava alla sedia ed alla transenna facendomi scorrere sulle gambe, sul petto e sul collo tre lacci scuri per assicurarmi bene agli strumenti. Rassegnazione: quale magica parola per un condannato al patibolo! Con essa tutto ti diventa sopportabile quando pieghi la testa al tuo destino, quando ti arrendi, quando ti rassegni. Uno strumento mentale molto adatto a chi lotta contro l’impossibile, contro i mulini a vento, contro l’appropinquarsi di un’esecuzione. E legato gambe, corpo e testa alla transenna e le mani incatenate ai braccioli, qualcuno deve aver fatto cenno di partire perché le due bestie maculate iniziarono a pigramente marciare, il carro si mosse in avanti, tutto partì. Il lugubre corteo aveva iniziato la sua marcia alla rovescia. Appena il carro partì lentamente, trainato a fatica da quelle due vacche pigre oltreché grasse e ben cornute il mio cervello – se era ancora mio… o del boia – a poco a poco assopito all’infausto destino ebbe un ultimo sussulto di residua energia, d’isterismo che si esaurì in pochi secondi: dopo pochi metri dalla partenza lanciai un grido autenticamente disperato al cielo smorto che mi sovrastava, alla folla che mi odiava e mi voleva morto e mi malediva, ai boia, ai due uomini sui cavalli, ai frati e a quelle vacche. Gridai esasperato un verso vuoto, illogico e il boia mi spinse brutalmente la faccia, già serrata, contro la transenna per invitarmi con le brutte a non provarci più. E mentre il carro proseguiva l’orrenda marcia il cielo si squarciò d’improvviso con un rombo acuto e iniziò a piovere ma quella gente, quella fila di gente imbestialita e assiepata non pensava a ripararsi, preferiva rimanere lì a bagnarsi pur di maledirmi. 

continua

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