Giallo a Verbania 4

- È solo?

- Attualmente sì. Ma il mio ego è talmente grande da impedirmi di sentirmi privo di compagnia. Ridacchiò. 

- Le posso dare una bella stanza che si affaccia sul giardino interno ricco di piante belle e da annusare. Sorrise, incerta. Sorriso che divenne ancora più incerto quando aprendo il documento di identità che mi aveva richiesto ebbe modo di leggere la professione che svolgevo. 

- Investigatore privato?

- Sì.

-È la prima volta che ne vedo uno di persona.

- C’è una prima volta per tutto.

- È qui in vacanza o per lavoro?

- L'una cosa non esclude l'altra - dissi.

- Quanti giorni intende rimanere? - si informò.

- Con precisione ancora non lo so, perché ancora non so quanto mi ci vorrà per risolvere o abbandonare il caso che mi è stato affidato. Perché sì, lo confesso: sono stato incaricato di trovare una persona scomparsa.

- L’americano? Il signor Anders?

- Infatti. E le sarei grato se potesse dirmi qualcosa al riguardo. Sollevò le mani in un gesto di insofferenza ma non di indifferenza.

- Cosa posso dire a lei che non ho già detto alla polizia?

- Non so cosa ha detto o non detto alla polizia.

- E va bene. Mi faccia pure le sue domande - invitò rassegnata. Nel frattempo l’ultra sessantenne si era allontanata trasmigrando nell’altra stanza, ma sebbene fuori portata di vista non lo doveva essere altrettanto di orecchio.

- Che tipo le è sembrato il giovane americano?

- Un tipo simpatico, educato, provvisto di un buon italiano, di un buon portamento e comportamento. 

- Le ha fatto delle domande inerenti persone o luoghi?

- Più che altro luoghi. Era interessato alle ville presenti a Verbania, perché architetto e innamorato dell'arte italiana. Mi aveva detto che lasciata Verbania si sarebbe recato a Vicenza, città originaria di…

- Andrea Palladio - completai per lei.

- Esatto. Palladio.

- Qui aveva fatto amicizia con qualcuno? O qualcuna?

- Ha scambiato qualche parola con un paio di ospiti, entrambi italiani.

- Si trovano ancora qui?

- No. Sono ripartiti quattro giorni fa.

- Usciva solo, generalmente?

- Sì. Diceva che gli piaceva camminare per la Castagnola, o per il lungolago, per immergersi nella natura circostante.

- Quanti giorni è rimasto qui da voi?

- Sette in tutto. Da sabato 11 a venerdì 17.

- E quanti ancora avrebbe dovuto restarvi?

- Altri due. Poi, come ho detto, sarebbe partito per Vicenza.

- D’accordo – dissi infine. – posso recarmi in camera? Se è una camera oscura come questa mia indagine, potrei approfittarne per sviluppare qualcosa che dal negativo conduca al positivo.

- Lei è proprio un bel tipo… - commentò la donna ridendo e consegnandomi la chiave. Era la numero 21. La presi e salii al piano indicatomi, il secondo. Il corridoio ospitava, oltre alla mia, altre otto stanze. La numero ventinove era situata fra altre due camere e ne fronteggiava un’altra. Le porte erano in legno, dipinte di verde clorofilla. L'interno della stanza pur non essendo di vaste proporzioni era però più che soddisfacente in quanto alle comodità che offriva, fra cui quella inusitata di un cassettone con specchio, due comodini, e addirittura un letto. La stanza da bagno era in fondo, con la porta socchiusa che lasciava intravedere una porzione di lavandino con specchio soprastante, tanto da potere riflettere una faccia a metà, che per tutti coloro che la faccia l'hanno persa già da tempo rappresentava persino un di più. Pavimento e pareti erano tappezzate di legno verde come la porta, un bagno acerbo emanante un piacevole odore di lucidante naturale. 



Antonio Mecca

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