I dati sull’occupazione continuano a essere positivi

Record di occupati dal 1977. Ma anche segnali di rallentamento

Continuano a essere positive le notizie dal Mercato del Lavoro, secondo i dati di ISTAT (Osservatorio Mensile) e Bankitalia-ANPAL.
Nel mese di ottobre gli occupati risultano 23.231.000, con un tasso pari a 60,5%: entrambi sono i dati più alti dal 1977, ossia da quando sono disponibili le rilevazioni ISTAT. L’aumento è trainato dal lavoro dipendente, cresce dello 0,5% rispetto a settembre e di 2,6 punti rispetto a 12 mesi fa (quasi 500.000 in più), toccando 18.244.000, anche in questo caso record dal 1977. Diminuiscono specularmente i lavoratori autonomi rispetto a settembre (-0,3%) ma salgono rispetto a un anno fa (+0,6%). Da notare che diminuiscono i contratti a termine (-0,6% e – 1,2%) mentre crescono decisamente quelli stabili (+0,8% e addirittura +3,4% rispetto a un anno fa. Addirittura i contratti a termine sono il 16,33% dei lavoratori dipendenti, ossia meno di quanto fossero prima della crisi Covid (16,77%).
La crescita occupazionale, al netto degli effetti demografici, ha riguardato tutte le fasce d‘età, ma in particolare quella più giovane (15-34 anni) che è aumentata rispetto all’anno scorso di 4,1 punti, e ancor più di 6,6% nella fascia giovanissima, da 15 a 24 anni.
Un particolare interessante è il tasso d’incidenza dei disoccupati rispetto alla popolazione anagrafica delle varie fasce d’età comparato col tasso di disoccupazione: il tasso di disoccupazione scende da un massimo di 23,9 punti nella fascia 15-24 a 4,8 nella fascia 50-64; ricordiamo che il tasso di disoccupazione fotografa quante persone sono in  cerca di lavoro e non lo trovano. Il tasso di disoccupazione rispetto alla popolazione indica che percentuale rappresentano i disoccupati (di cui sopra( rispetto alla popolazione della fascia d’età considerata. Il dato della fascia 15-24 indica la difficoltà dei giovani che cercano lavoro a trovarlo, ma l’incidenza di costoro sulla popolazione della fascia (6,2%) è sostanzialmente analoga a quella delle fasce d’età superiori; il che si giustifica solo con il fatto che il tasso di attività (ossia la percentuale di coloro che cercano attivamente lavoro) in questa fascia è molto basso, e quindi il numero dei “disoccupati” è alto in termini percentuali ma non in termini assoluti; infatti il tasso di inattività (cioè di chi non cerca lavoro né lavora: sostanzialmente il verso opposto del tasso di attività ) è del 74,2%: di gran lunga il più alto di tutte le fasce di età, motivato ovviamente dal fatto che gran parte della popolazione di queste età è ancora a scuola; tuttavia pesa anche moltissimo il numero dei NEET (giovani non in formazione né al lavoro) che insistono su questa fascia (oltre un milione).
In realtà l’indice di disoccupazione andrebbe letto accanto al tasso di attività per misurare con precisione la situazione del Mercato del Lavoro: da questo punto di vista è indubbio che i dati ISTAT su ottobre indichino un trend positivo: il tasso di inattività è pari al 34,3%, ai livelli del 2018 pre covid e quello di disoccupazione al 7,8%, ossia al livello del 2009, prima della crisi finanziaria.

I dati Bankitalia – ANPAL sulle COB (Comunicazioni Obbligatorie) ci consentono di notare movimenti significativi all’interno dei flussi generali dell’occupazione; è opportuno notare che l’aumento delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato è dovuta anche, nella misura del 62,2%, a trasformazioni di contratti a termine, ma non in misura straordinaria: nel 2019 si trattò del 54,2% e nel 2020 del 52,7%. Mentre cala non enormemente ma costantemente la quantità di avviamenti con contratti a termine sul totale delle attivazioni: nell’ottobre di quest’anno è pari al 66,2%. Può sembrare alto, ma nel 2019 e nel 2020 era al 74,9%, e nel 2021 al 76%. Naturalmente questa grande quantità di avviamenti (cioè di assunzioni) non corrisponde ad altrettante persone fisiche: un lavoratore può avere numerosi contratti a termine anche brevi in un anno. Per valutare l’incidenza del lavoro a termine sul Mercato del Lavoro è necessario riferirsi al dato ISTAT, che conta le posizioni di lavoro esistenti in un dato momento. Nel nostro caso però è significativo che sia i dati di stock che quello di flusso tendano in basso: è un segnale, anche senza esagerarne la portata, che il Mercato del Lavoro si sia orientando verso rapporti più stabili. Ma attenzione: potrebbe anche essere il segnale di un rallentamento del mercato in vista di un rallentamento della crescita produttiva. E in effetti le attivazioni, di qualunque tipo, al netto delle cessazioni, sono per i primi 10 mesi del 2022, 344.000, mentre nel 2021 (12 mesi) erano 605.000. E in effetti è largamente possibile che le prossime finestre di osservazione sull’occupazione diano dati meno brillanti, o addirittura di senso contrario, in relazione a fattori diversi: dalla guerra all’inflazione alle scelte del Governo

A cura di Claudio Negro

Milano, 4 dicembre 2022

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