IL CLIENTE AMERICANO

Abbiamo iniziato sabato 7 agosto l’inserimento di un breve racconto che continueremo a pubblicare ogni giorno sempre alle ore 14:00.
Ne seguiranno altri, senza distinzione di argomento, dal giallo al rosa, dal nero allo storico, dalla monografia al diario.
Tutti possono inviare un racconto - che la commissione incaricata esaminerà - e comunicheremo la nostra scelta e la data della pubblicazione all'autore.

Inviate il Vostro racconto a edbedizioni@ibero.it - redazione racconti.

 L’uomo, al quale stavo tenendo aperta la porta che immetteva nell’ufficio, era alto un metro e ottantacinque, robusto di corporatura, sui cento chili scarsi, poco più di cinquant’anni. Il sorriso dedicatomi per ringraziarmi mentre gli aprivo la porta aveva un qualcosa di strano, di straniero. Troppi denti in mostra e troppo bianchi, di quel candore sospetto che è il marchio di fabbrica delle dentature artificiali e che talvolta sostituisce il candore inesistente delle coscienze latitanti e costituisce l’unica forma di pulizia morale di persone tutt’altro che pulite. Indossava pantaloni e giacca grigio perla, camicia bianca e cravatta rosso-bluastra. Le scarpe di cuoio scricchiolavano al passo, al pari delle calzature di un dandy negli anni ’50. Quando gli indicai la poltroncina di pelle nera posta di fronte alla mia, nera come la cattiva coscienza di non pochi fra i miei clienti, lui mi ringraziò con l’aggiunta di un sorriso.
     L’accento tradiva una provenienza anglo-americana. Mi ripromisi di scommettere con me stesso se di provenienza british o americana.
    - Mi dica pure, signor…
    - Anders. Felix Anders. Americano. L’accento era inconfondibilmente quello non dei figli di Albione bensì dei figli dello zio Sam. 
    - Proviene dagli States? - mi informai.
    - Sì. Dalla California del Sud, Los Angeles - precisò.- Sono qui per ritrovare mio figlio, perché è scomparso dall’hotel dove era alloggiato, e questo da una settimana. Si interruppe, dato che la commozione lo stava soffocando.
    - Dove si trova, questo albergo? 
    - A Verbania. Tom ci era andato in vacanza per rivedere quel luogo che gli era piaciuto quando l'aveva visto la prima volta, dodici anni fa, insieme a me e a sua madre. Tom è architetto e ama molto l’architettura del vostro meraviglioso Paese, Palladio soprattutto, e qui in Italia costruzioni antiche più che pregevoli non mancano di certo. Per questo era venuto, per un viaggio-vacanza che da Milano e poi Verbania lo avrebbe portato a Vicenza e Venezia. Un mese abbondante, per far quindi ritorno in America.   
    Si interruppe di nuovo.
    - Era in Italia da solo? 
    - Sì.
    - Quanti anni ha?
    - Ventiquattro.
    - Suo figlio parla bene l’italiano? Lei lo parla bene.
    - L’ho imparato a scuola, in Italia ci sono venuto spesso fin da quando ero un ragazzo. Anche Tom lo parla bene; ha sempre detto di considerarla una lingua bellissima, dolce e non certo aspra come il tedesco o buffa come lo spagnolo.
    - Concordo. Si è già recato alla polizia?
    Fece un sorriso che stava a metà fra il sarcastico e il compassionevole.
    - Hanno provveduto a interrogare l’albergatrice e il personale di servizio, più alcuni ospiti che hanno avuto modo di conoscerlo. Non avendo trovato nulla, credo ci abbiano messo una pietra sopra. Una pietra tombale, che aspetta soltanto la scoperta del cadavere per lasciarsi incidere sopra nome, data di nascita e morte. - Si interruppe nuovamente.
    - Lei vorrebbe quindi che fosse un detective privato ad assumere l’incarico di ricercare suo figlio Tom? E perché proprio il sottoscritto?
    - Ho effettuato una ricerca relativa agli investigatori privati italiani del Nord Italia ed è saltato fuori il suo nome, signor Solmi, perché lei ha già risolto due casi a Verbania.
    Non c’è due senza tre, pensai.
    - Mi parli di suo figlio e mi mostri anche qualche sua foto.
    Fece di meglio, mostrandomi dallo smartphone un video che ritraeva Tom proprio a Verbania. La sua voce giovane, nasale come quasi tutte le voci americane, salutava i genitori con contagiosa allegria, sorridendo fiducioso all’obbiettivo della video camera e all’obiettivo che si era prefissato di raggiungere nella sua esistenza. Aveva un libro in mano, il cui titolo italiano recava la parola “Case…” stampata in bianco su sfondo azzurro. Il resto del frontespizio era coperto dal suo braccio. Quel poco di inglese che conoscevo mi fece capire che il ragazzo parlava ai suoi genitori dell’Italia e ne parlava con affetto. La chiacchierata a senso unico durò due minuti, dopodiché si interruppe.
    - È stato l’ultimo suo video - disse l’uomo - inviatoci il giorno prima della sua scomparsa, avvenuta il 17 ottobre. E con lui è scomparso anche il cellulare.
    - Qualcos’altro? Abiti, oggetti personali, denaro…
    - La sua stanza riportava credo tutti i suoi effetti personali, nonché una carta di credito rilasciata dalla American Express.
    Gli rivolsi svariate altre domande dalle cui risposte appresi che Thomas, Tommy o Tom che dir si voglia era un ragazzo un po’ strano, amante della solitudine e della lettura, laureato in architettura con una tesi su Andrea Palladio, del quale avrebbe in seguito visitato la casa a Vicenza, città dov’era nato. Tornato poi a Los Angeles sembrava che la: UCLA: l’università della California, gli avrebbe offerto la cattedra di insegnante, un lavoro che Tom sperava fosse temporaneo perché intenzionato a diventare un architetto famoso come Wright o Le Corbusier. O Palladio, appunto.
    - Quando si è molto giovani si è anche molto ambiziosi - sembrò giustificarlo.
    - Va bene, mister Anders - dissi. - Accetto l’incarico se anche lei accetta le mie condizioni, che sono le seguenti: trecento euro al giorno, più le spese. 
    Lui annuì.
    - Sì. Per me va bene. Quando può iniziare?
    - Da questo momento. Ho bisogno di una foto di suo figlio e del video del suo smartphone, da riversare nel mio.
    Lui tolse di tasca nuovamente il cellulare e chiesto il numero del mio provvide a inviarmi il filmato. Pescò dal portafogli una foto che ritraeva il figlio a mezzo busto. Indossava una maglietta differente da quella che aveva avuto indosso nel filmato, ma il suo sorriso era lo stesso, bello e contagioso. Quindi compilò un traveller cheque relativo alla somma di 1500 dollari, lo firmò, ne strappò il foglietto all’altezza della matrice e me lo consegnò.
    - Ecco, mister Solmi. Le auguro buon lavoro.
    - Le farò sapere qualcosa il prima possibile. - Dove risiede, attualmente?
    - All’hotel Majestic di Pallanza
    Accompagnai il mio nuovo cliente fuori dall’ufficio, fino in corridoio. Quindi dopo un saluto e una stretta di mano, ci accomiatammo.
    Il Majestic lo conoscevo di fama. Era il miglior albergo di Verbania: per il lusso, per il servizio, per la visione paesaggistica. Ricordavo benissimo quando c’ero stato durante la mia prima indagine a Verbania. 

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