IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA - 2

La chiesa era quasi sempre vuota quando lui le rendeva visita. Le fiammelle delle candele presenti parevano anime che ancora ardessero dei rimasugli della vita passata. Lui se ne stava avvolto nei propri pensieri e nelle proprie emozioni. Le luci delle candele ricordavano le luminarie che gli stradini piazzano ai lati della strada per illuminare il percorso. Solo che lì erano sistemate alla rinfusa, e spettava al credente prenderle e piazzarle poi con sapienza. E di loro fidarsi.

Il ragazzo era avvolto dal loro calore che gli riscaldava l’anima e gli consentiva di proiettarsi in quell’avvenire che seppure ancora nebuloso aveva già la potenza di attrarre a sé le persone che lo bramavano.

La porta della chiesa era come di consueto aperta. Frédéric ne varcò la soglia, come sempre in preda a una contenuta eccitazione. Se quella di tanti, troppi anni prima era stata un’eccitazione talmente intensa da fargli quasi male, questa era invece un’eccitazione macerata dagli anni, dal successo che nel suo Paese aveva ottenuto e insieme con esso soldi e notorietà. Chi varcava adesso quella soglia non era più il ragazzino disperato che odiava la scuola perché insofferente allo studio, bensì un uomo ormai anziano che si avviava al tramonto della vita all’alba del nuovo millennio. Non era più solo come allora, perché adesso incarnava il suo personaggio che conviveva dentro di sé da cinquant’anni esatti. Ma il nucleo che albergava al suo interno era sempre quello originario, il quale emanava al pari di un reattore nucleare una luce capace di trasformarsi in energia. Un’energia talvolta radioattiva.

Il fresco della grande chiesa lo avvolse al pari di un sudario gelato, che lasciava fuori il giugno assolato. Ma non lasciava fuori, purtroppo, anche i suoi 78 anni, dei quali avrebbe fatto volentieri a meno insieme a tutti i suoi milioni. Aveva sempre provato piacere nello stare in quel tempio cristiano solo con sé stesso, un’emozione continuamente rinnovata e rivissuta che gli faceva palpitare il cuore quasi fosse ancora il ragazzo di allora, teso come una corda di violino nel tentativo di protendersi verso l’assoluto e terso come un cielo dopo la pioggia purificatrice. Ora, almeno in parte, quell’obiettivo lo aveva raggiunto, e aggiunto anche alle speranze che nel passato aveva avuto.

Chiuse gli occhi, quasi che poi nel riaprirli si sarebbe ritrovato come per magia nel proprio passato e nella propria giovinezza. Ma, ahimè, così non era, così non poteva essere. Per cui si alzò dalla panca e avvicinatosi alle candele votive ne accese due: una per la sua adorata mamma, morta quarant’anni prima, e una per la dolce nonna. Poi infilò nella fessura della cassetta delle offerte una banconota di grosso taglio accuratamente ripiegata. Era stato sempre generoso perché grato al destino per tutto quello che aveva saputo donargli. Una bella famiglia, il successo come scrittore, il denaro abbondante che il suo lavoro gli aveva procurato. E allora, a che pro fare il parsimonioso? Era un piacere per lui donare. Era infatti convinto che i suoi gesti generosi sarebbero a lui tornati come un boomerang positivo, a propria volta donandogli felicità e salute e perdonandogli le nefandezze passate. Uscì dalla semioscurità della chiesa per immergersi nella luce intensa del giorno. L’estate imminente si annunciava con il tipico gradevole calore della stagione, con i suoi fiori rigogliosi e i profumi elargiti. Aveva sempre amato la natura, che era in grado di commuoverlo ed emozionarlo più di ogni altra cosa al mondo. Aspirò a fondo. Quindi, si diresse verso la sua vecchia casa. Si trattava di una palazzina a due piani sorta all’inizio del secolo, modesta alla sua nascita, squallida alla propria, di nascita, e povera di aspetto pure ora, a quasi cento anni dalla sua edificazione. Era tinteggiata in color crema: una crema oramai irrancidita. Sfiorò con la mano destra la vecchissima porta di ingresso, che risaliva anch’essa all’anno della messa in cantiere della palazzina, e la maniglia.

Erano gesti, questi, che spesso compiva, sebbene si rendesse conto del suo infantilismo. Ugualmente però non poteva fare a meno di ripeterli. Trasferì la propria mole fino al bar non lontano, posto nei pressi della chiesa e con vista sulla sua ex casa. Sedette a un tavolino esterno, aspettando che arrivassero a prendere l’ordinazione. Giunse una donna. Sulla quarantina abbondante e abbondante era anche il suo fisico, di bell’aspetto, semplice ma niente affatto banale. Una di quelle donne per le quali provare affezione e amicizia e: perché no, amore. Gli sorrise, illuminando così il suo viso e - di riflesso – anche quello del cliente. Il quale rispose con il suo, di sorriso, ordinando un pastis. La donna sembrò approvare la scelta, e se ne tornò all’interno del bar, mostrando un retroterra culturale non indifferente.


Antonio Mecca 

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