IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA 11

Settant’anni erano trascorsi da quel periodo, di cui cinquanta con il suo carismatico personaggio. E sebbene non si trattasse certo di briciole, al tempo stesso aveva la sensazione di non essersene mai allontanato. Se ne allontanò fisicamente in quel momento, a passo lento perché gli anni erano ormai tanti e i chili idem, ed entrambi contribuivano a rallentargli il passo.

Accolse la visione della sua splendida auto parcheggiata nei pressi della chiesa con il sollievo di chi ritrova una cosa a lui cara. E cara lo era stata davvero. Mancavano solo cinque minuti all'appuntamento quando fermò l'auto davanti all'edificio che ospitava i vecchi del paese e non solo del paese. Era stato restaurato a suo tempo con il suo contributo, e di questo ne andava fiero perché il contribuire al benessere di persone ormai alla fine della vita non poteva non riempirlo d’orgoglio.

Vide uscire alcune persone, e fra queste Hèléne, che scorto l’auto agitò il braccio per salutarlo. Lui rispose alla stessa maniera, sentendosi stupidamente giovane. Mentre lei si avvicinava, ingrandendosi sempre più come figura, si andava ingrandendo anche l'emozione che albergava nel suo cuore malato. Si chinò sulla destra per aprirle lo sportello, sorridendole con calore.

- Buonasera! - lo salutò con voce festosa. - Avete passato una buona giornata?

- Ho passato una giornata buona solo perché sapevo che alla fine avrei rivisto te.

La ragazza salì ridacchiando.

- Dove mi portate? - gli chiese. E a lui sembrò di essere tornato il ragazzo di un tempo al quale una ragazza si rivolge complice la loro giovane età. Avrebbe voluto essere come il suo commissario, il quale sapeva parlare alle donne a tono, risultando sempre fascinoso. In lui invece il languore prendeva il posto dell’ironia,

rischiando di ridurlo in lacrime. L’età è l'età, e se non fosse stato per i suoi libri che avevano la funzione di ciambelle di salvataggio, sarebbe annegato nel mare dei Sargassi o dei sarcasmi. Ma scriverli lo aiutava a vivere, e anzi si poteva dire che la sua autentica esistenza fosse tra quelle pagine, e che lui fosse veramente lui soltanto quando scriveva.

L'auto giunta allo stop in fondo al paese svoltò poi a sinistra.

- Ti va di andare a Lione? - le chiese sforzandosi di sorriderle.

- Certamente - rispose lei con giovanile entusiasmo. - Adoro quella città.

- Io ci ho abitato per vent'anni.

- Quindi potete affermare di conoscerla bene.

- Le città sono come le donne: chi mai può affermare di conoscerle bene?

Hélène ridacchiò. - Perché vi siete trasferito in Svizzera?

- Per essere più tranquillo.

La ragazza non fece commenti. Osservava la campagna scorrere oltre il suo finestrino, l'incredibile bellezza della natura e la placida tranquillità del bestiame intento a pascolare. Il cielo emanava una luce ancora intensa, il sole inviava gli ultimi raggi del giorno morente come un dono della Madre Terra al figlio Uomo.

- Siete silenzioso – osservò lei dopo essersi voltata verso di lui.

- Sì; è vero.

- È forse la mia presenza a intimidirvi?

- Togli pure il forse.

- E qual è il motivo? Se mai dovrei essere io quella intimidita.

L'uomo rise.

- Come dimostri di non conoscerti bene, Hélène… Tu possiedi un grande potere, perché sei giovane, bella,

fresca di esperienze. Io invece sono vecchio, brutto e di esperienze ne ho accumulate anche troppe.

- Non ditemi che avete intenzione di mantenervi su questo tono per tutta quanta la serata - disse la ragazza. - Non riuscirei mai a perdonarmelo.

- Tu non devi perdonarti proprio nulla, bella bambina. Vedrai che Lione mi risolleverà, visto che ho intenzione

di condurti su, al Vieux Lyon.

Erano ormai giunti alle porte di Bourgoin-Jallieu. Il cartello indicante Lyon era sulla destra.

- Si può ascoltare un po’ di musica? – chiese lei già appressandosi verso l'apparecchio radio.

- Certo. Fai pure.

La ragazza accese accese la radio e girò la manopola della radio, fino a fermarsi su una stazione che trasmetteva musica funky.

- Posso alzare il volume?

- Non troppo, però.


Antonio Mecca

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