IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA 18

Marie ritornò un'ora dopo essere uscita. Si mise subito a preparare una cena frugale: minestra leggera accompagnata da una bistecca di vitello e un bicchiere di vino rosso. Terminata, Darc pensò di ritirarsi nella stanza che gli avevano assegnata. La notte era pronta per venire affrontata.

La porta della camera venne chiusa a chiave dall'esterno. Lo scrittore si infilò nel letto matrimoniale. Dal finestrino socchiuso proveniva una brezza rinfrescante che alleviava la calura interna. Decise di dare un'occhiata all’esterno. Afferrò quindi la sedia presente e la spostò dalla scrivania fino alla parete con la finestra. Vi salì, attento a non perdere l’equilibrio. Riuscì ad arrivare fino al livello del finestrino, gettarvi fuori uno sguardo. Vide la vegetazione presente, con piante di un giardino. Per cui quand'anche gli fosse riuscito di scivolare fuori dalla stanza, avrebbe poi dovuto affrontare anche un cancello, e come l'avrebbe affrontato? Scalandolo come una lucertola appesantita dagli anni e dai chili di troppo, si sarebbe forse ritrovato sulla sommità provvista magari di punte acuminate per finire infilzato. No, meglio lasciar perdere. Scese con cautela, riportò la sedia al suo posto e si infilò fra le coltri.

Alle otto del mattino la chiave nella serratura esterna girò due volte. La porta venne aperta e sulla soglia apparve la figura aggraziata di Marie, che a Frédéric rammentò quella di Sylvie Vartan trent’anni prima. Sul volto campeggiava un sorriso lieve, incerto, quasi non sapesse cosa aspettarsi di trovare. Lo scrittore come suo solito si era addormentarsi subito dopo essere andato a letto. Si svegliò dopo tre ore veglia. Quello profondo generalmente lo sopraffaceva verso l’alba, quand’era giunto il momento di alzarsi. Talvolta si alzava, come faceva quando era giovane  e si metteva alla macchina per scrivere quotidianamente pagine su pagine di romanzi, sceneggiature cinematografiche, commedie. Erano i romanzi a farla da padrone, con all'attivo alcuni titoli l’anno. Questo nei dorati anni Cinquanta e nei non meno meravigliosi anni Sessanta. Ora che era invecchiato tendeva sempre a scrivere molto, sebbene non più come prima e soprattutto non più dal mattino presto.

- Buongiorno - lo salutò Sylvie-Marie. – Avete trascorso una buona nottata?

- Per quanto mi è stato possibile – rispose lui con voce ancora impastata dal sonno recente.

- La colazione è pronta. Gradite caffè o caffelatte?

- Un caffè lungo andrà bene – disse Frédéric. – Ma solo dopo che avrò fatto le mie abluzioni e la barba.

- Va bene. Vi accompagno alla toilette.

Lo scrittore si sollevò sul letto, che il bianco lenzuolo che lo avvolgeva fino al busto lo faceva somigliare a un burattino mosso dalla mano del burattinaio. E chi lo sa che non fosse davvero così, e lui come noi tutti eterodiretti da una Entità misteriosa. Infilò le pantofole e venne scortato da quell'apparente angelo fino alla porta del bagno. Quando uscì se ne tornò in camera a rivestirsi. Una volta fuori avanzò con passo sicuro fino alla cucina. La ragazza era lì, impegnata al fornello a riscaldare il caffè, l’aroma riempiva gradevolmente l’intera stanza.

- Sedetevi, Frédéric: ora vi servo il caffè. Gradite anche un croissant?

Se non è di troppo disturbo… Ti avviso però che non lascerò la mancia.

Marie ridacchiò. – Siete davvero una sagoma…

- Di quelle per il tiro al bersaglio – precisò lui. – Perché mi avete davvero giocato un bel tiro.

Assaggiò il caffè prima e il dolce poi. Si sentiva a suo agio senza provare nessuna preoccupazione.

- Joseph si è recato al lavoro? – si informò.

- Sì. Smetterà non appena potremo ritirare il denaro.

- Per poi fare anche voi una vita ritirata.

Il suo cellulare squillò. La ragazza lo prese, ne attivò la funzione di risposta e glielo porse. La voce all’altro capo della linea apparteneva a Francoise, la moglie, che gli chiese come stava.

- Bene, Francoise. E tu?

- Non mi lamento. Il tempo è buono, almeno lui, e l’esistenza scorre placida. Ti stai divertendo?

- Come no. Ma per divertirsi come si deve è in due che bisogna essere.

- Sei stato tu a volere andare da solo.

- Perché questa sarà probabilmente la mia ultima volta. E siccome bisogna finire così come si è cominciato,

 dovevo per forza di cose essere solo.

- Se lo dici tu… Adesso dove ti trovi?

- A Bourgoin-Jallieu. È incredibile quanto poco sia cambiato negli ultimi anni. Sembra si sia asspoi resistere ai secoli.

- Tu ci sei affezionato, come è giusto che debba essere. E il tuo paese grazie a te ci ha guadagnato in visibilità.

Dopo altri convenevoli, la comunicazione venne interrotta.


Antonio Mecca

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