IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA 21

Dalla stanza dello scrittore proveniva la solita gragnuola di tasti pestati con furia selvaggia, di carrello che scorreva da destra a sinistra, di rullo fatto scivolare, il tutto alla cara vecchia maniera. Sembrava allo scrittore di essere tornato giovane, ai suoi inizi. Perciò, la gioia di scrivere era doppia.

- È pazzesco, non trovi? – le chiese Joseph alludendo alla battitura continua e implacabile che arrivava fino a loro. Lei scosse il capo.

- Io l'ammiro, invece. Pensava a come sarebbe potuta essere la propria esistenza con lui al fianco. Una moglie-bambina, una figlia-amante che avrebbe accolto gli ultimi momenti dell’amante-padre, del marito-nonno. E che, forse, avrebbe saputo rendere felice. Lui allora in quella sorta di ultimo canto del cigno sarebbe rinato per merito suo, e avrebbe scritto diversi altri libri, e una cascata di soldi sarebbe piovuta nelle loro tasche.

Ne sarebbe valsa la pena?

Osservò il giovane stallone al suo fianco. No, che non ne sarebbe valsa. Cosa poteva farsene di un vecchio?

E anche lui cosa poteva farsene di una giovane? Sarebbe stato il primo a stancarsene. Il ticchettio all'improvviso finì, e lo seguì il rumore di un foglio strappato dal rullo. Poi il silenzio prese a regnare sovrano. La ragazza alzando la voce disse: - Monsieur Darc! Tutto Bene?

- Sì, sì. Tutto bene.

- Adesso vi preparo un buon pranzetto.

- L'ultimo pasto prima dell'esecuzione capitale? Quella che segue il capitale versatovi?

I due giovani si fissarono. Poi lei riprese.

- Avete terminato di scrivere?

- Sì. Adesso ho iniziato a rileggere.

La rilettura andò avanti per tutta la giornata, interrotta dal pranzo che durò un'ora. Quando poi arrivarono le sette il dattiloscritto era completato. Durante la cena le parole scambiate furono poche. Frédéric si sentiva ancora Antoine, il suo personaggio, e la tristezza, la depressione che lo prendevano quando lo lasciava, erano più forti del solito. Ora era convinto che mai più lo avrebbe ripreso, non gli riusciva di mascherare la disperazione che lo aveva avvolto. Non era tanto dispiaciuto per sé, quanto per lui. La fusione con il personaggio era totale, e i due si sentivano complementari l’uno con l'altro.

Terminato di cenare, i due giovani lo misero al corrente di ciò che avrebbero fatto di lì a un paio d’ore.

- Vi cloroformizzeremo un'altra volta, e dopo ce ne andremo. Quando vi sarete risvegliato, sarete nuovamente libero.

- Sì? E di andare dove?

- Dove vorrete. Avete anche voi una casa, non è così?

- E voi, invece, dove ve ne andrete adesso che avete ottenuto i miei soldi?

- Non staremo certo a dirlo a voi - replicò Joseph.

Lo scrittore si volse verso la ragazza e si rivolse quindi a lei.

- E tu, Marie, seguirai il tuo amico, vero? Un amico vero?

La ragazza gli rispose con un sorriso bello e triste, che l'uomo mostrò di apprezzare perché a una bellezza femminile come quella che aveva di fronte non si poteva restare insensibili.

- Va bene. Auguri - disse lo scrittore alzandosi. - Torno in camera. A più tardi.

Rientrato nella sua stanza andò a sedersi alla scrivania, riprese la risma di carta appena terminata di scrivere e - dopo avere riletto qua e là - appose la parola “Fine” e, sotto, la firma per esteso, comprensibile a tutti nella lettura, perché lui aveva rispetto per chi lo leggeva e gli chiedeva un autografo. Quindi, accarezzando i fogli come se fossero figli, si accinse all’attesa.

Antonio Mecca

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