In ogni donna c'è la voglia di sgualcire ciò che è sistemato da troppo tempo

La frase che dà titolo a quest'articolo si trova all'interno del romanzo "La scordanza", scritto da Dora Albanese e pubblicato da Rizzoli nel 2017

Protagonista della storia è Caterina, una giovane donna lucana sposata con Antonio e madre di due bambini, il più grande, Eustachio, ha solo 10 anni. Fra lui e la mamma esiste complicità, come spesso accade fra un figlio maschio e la propria madre, complicità che si estende anche al mantenimento del segreto che Caterina gli ha imposto di tenere. Quello cioè di non rivelare dove a volte si recano nel pomeriggio: vale a dire in una masseria celata, alla vista degli estranei, dalla vegetazione che la nasconde. Questa casa è l'abitazione di Nadir, un operaio di madre libica e padre italiano che lavora come operaio specializzato nel maglificio nel quale lavora anche Caterina. Che ne è attratta nonostante l'innegabile bruttezza che lo contraddistingue ma anche distingue, finendo per cedergli e avere rapporti sessuali che si ripetono più e più volte all'interno della masseria, mentre il figlio aspetta il ritorno della madre e il rientro a casa nell'immaginario paese di Muggera giocando con gli animali. Dopo un certo tempo la giovane donna, insoddisfatta della mediocre vita coniugale con il marito, il quale spesso la picchia, si decide a lasciare lui e i figli per diventare la donna a tutti gli effetti di Nadir. Ed eccola autoreclusa nella masseria, una sorta di casa priva di corrente elettrica e acqua corrente, dove vi si rintanerà per mesi fino a disamorarsi dell'amato e a fuggirsene da lui e da quel mondo, di notte, dopo avergli rubato un po' di soldi mentre lui dormiva e - con l'auto - raggiungere la stazione ferroviaria di Ferrandina e salire sul treno per Milano. In questa grande città Caterina troverà un lavoro da sarta e vivrà un'esistenza povera e solitaria, diluendosi nella folla che la popola, cercando di lasciarsi alle spalle il rimorso per avere abbandonato i propri figli ancora bambini e la madre già vecchia, che finirà per morire di tumore. Del marito, poco importa. 
Quando la vedova di Salvatore Di Giacomo raccontava a Giuseppe Marotta che il marito vedeva le donne come esseri complicati mentre invece la donna è molto semplice, forse era sincera ma non era, la sua, la verità. Perché la donna, come affermava Frédéric Dard-Sanantonio, "è un puzzle facile da smontare ma difficile da ricomporre". Non potrebbe essere diversamente, a voler giudicare dal fisico che la forma e deforma: nel parto, con i vari cicli mestruali che la sconquassano per anni e anni. È vero che gli uomini spesso non sanno comprenderle; ma è vero anche che questo spesso è impossibile da poter attuare, perché la donna è sovente un rebus in primis per se stessa. Non si spiegherebbe altrimenti l'agire di istinto e indistinto che non di rado le travolge, coinvolge e avvolge, finendo per trascinarle anche nel fango, destinate - o predestinate? - a soffrire per il resto della loro vita. Il romanzo della ancora giovane Dora Albanese (classe 1985) è ambientato nella Basilicata dei primi anni '80, ed è un buon romanzo, scritto bene e contenente varie e belle immagini, tipo questa: "... stringendo tra le mani sempre qualcosa, una volta uno strofinaccio, un'altra il lembo del grembiule, la sua femminilità stracciata." Questo è riferito a Eufemia, la vecchia madre di Caterina, dalla quale la ragazza cerca di allontanarsi per non fare la sua stessa fine. I sogni che aggrediscono con la loro dolcezza le donne possono rivelarsi più pesanti e dannosi della concretezza. Forse il fatto che una donna accetti: seppur innamorata, di convivere all'interno di una casa priva delle più elementari comodità, sudicia giorno dopo giorno al pari della sua anima, è poco credibile. Come poco credibile è l'ostinato mantenimento del bambino al segreto impostole dalla madre, della quale sente profondamente la mancanza. Ma, per tutto il resto, la giovane Dora Albanese (originaria di Matera che da anni vive a Roma dove collabora con Rai Uno) ha saputo ben descrivere un Sud: quello della sua terra di origine, ancora misterioso e arcaico, quasi avvolto, talvolta soffocato da una magia spesso malsana. Come, forse, è l'animo più profondo della donna.

Antonio Mecca   

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