INCONTRO AL LAGO

Di Albertina Fancetti
Capitolo cinque

Luciano riprese il cammino rimuginando sul nuovo problema che doveva affrontare: quale banca avrebbe accettato di cambiare del denaro che nessuno avrebbe conosciuto prima del passare di due secoli? Come avrebbe potuto mangiare e dormire in una locanda se non poteva pagare? Fece un rapido inventario di tutto ciò che poteva essere usato come merce di scambio: l’orologio, ultimo regalo di Natale da parte di sua madre, la catenina d’oro dalla quale non si separava mai, un braccialetto moderno di pelle e argento e il cellulare. Sorrise tra se pensando a chi sarebbe potuto interessare un telefonino in quel contesto… lo tolse dalla tasca del blusotto accorgendosi che non aveva comunque campo. Giunse all’inizio di una vasta strada carrozzabile circondata da palazzi opulenti, in fondo alla quale si scorgevano vaste macchie di verde: prati e boschetti verso i quali si dirigevano eleganti carrozze. Le dame scostavano le graziose tendine che ornavano i finestrini, osservavano Luciano e si scambiavano tra loro commenti e risatine. Quando giunse sui bastioni orientali cominciava a sentirsi stanco e affamato e si sedette sull’erba all’ombra di una quercia, guardandosi intorno alla ricerca di qualcuno che potesse somigliare all’illustre inglese. Alcune carrozze stavano ferme sui bastioni ed eleganti bellimbusti, con tuba e redingote, si affacciavano alle portiere dalle quali le dame facevano capolino. Era un luogo di ritrovo frequentato dall’elite della città e Luciano, sempre tenendo stretto l’involto di carta marrone, si chiedeva come avrebbe potuto trovarne il destinatario in mezzo a quella confusione. Dall’alto dei bastioni dominava il panorama dei giardini, che si estendevano a perdita d’occhio, solcati da un Re de’ Fossi dalle acque limpide, nelle quali galleggiavano placidamente anatre e cigni. Luciano decise allora di abbandonare la sua postazione, scivolò giù dal breve pendio, lasciandosi alle spalle lo spiegamento di carrozze e si incamminò lungo i sentieri ben curati che si addentravano nel parco. Alcuni bambini spingevano cerchi di legno con un bastoncino, altri tenevano al filo colorati aquiloni, mentre le ragazzette inseguivano farfalle con la rete. Balie dal petto prosperoso spingevano carrozzine di vimini, abbigliate con grembiuli azzurri e sul capo una corona di spilloni a raggiera simili a un’aureola. Abbandonato sopra una panchina di pietra, Luciano scorse un giornale di poche facciate intitolato il Corriere delle Dame. Incuriosito, lo sfogliò brevemente, osservando i figurini di moda che riempivano le pagine. Alcune signore eleganti che passeggiavano nel parco, indossavano abiti molto simili a quelli raffigurati e cappellini alla Bolivar con ampie tese, che ne nascondevano il viso. Una di queste fanciulle attrasse la sua attenzione: portava un abito di pizzo bianco e si muoveva con sinuosa leggerezza. Non aveva il cappello, ma un fazzoletto legato dietro il collo simile a una contadinella, che le lasciava scoperti i capelli di un bel castano ramato. Luciano aumentò il passo, deciso a raggiungere la ragazza per poterla guardare finalmente da vicino.
«Scusate signorina!» esclamò afferrandole il gomito.
La giovane si voltò con espressione spaventata. Luciano rimase agghiacciato nel vedere il suo voltodeturpato dai segni del vaiolo. Non poteva essere la ragazza del lago. Lei scappò via e Luciano la seguì per alcuni passi con l’intenzione di scusarsi. Fu allora che vide la figura di un uomo, immobile sul ponticello di travi, intento a osservare le acque. Uno spettro. Almeno così pareva, forse per un effetto di controluce dovuto ai raggi del sole che filtravano fra un gruppo di pini. Indossava un vestito scuro che ne accentuava la magrezza estrema. Luciano non riusciva a vedere i lineamenti del viso, soltanto i capelli scarmigliati, scuri e ricciuti, che spuntavano da sotto la tuba. In quell’istante fu certo che si trattasse del destinatario del pacco, ma esitava ad avvicinarlo temendo di essere in errore. « Gli parlerò in inglese, così, se mi fossi sbagliato, non potrebbe capirmi, scambiandomi per uno straniero » pensò astutamente, avvicinandosi con passo deciso.
«Excuse me Sir, I think I have something for you» disseporgendogli l’involto.
Il gentiluomo si volse verso di lui, osservandolo con viva curiosità.
«Dunque siete voi il messaggero che aspettavamo…» rispose in italiano.
«Veramente sono qui per caso. Sto solo ricambiando il favore ai facchini della chiatta che mi hanno offerto un passaggio per la città, uno di loro mi ha chiesto di portarvi questo pacco» disse Luciano.
L’inglese dischiuse le labbra sottili in un sorriso ironico.
«No. Non siete qui per caso. Abbiamo un messaggio molto importante per voi. Dovete venire a casa mia, questa sera dopo il desinare. Abito in via Fiori Chiari al numero 13. Non mancate. Vi aspettiamo» Era un ordine. Lo guardò intensamente prima di allontanarsi a passo svelto, come se temesse di poter essere seguito, facendogli un ultimo cenno con la mano guantata che significava “obbedire”. Luciano lo vide scomparire dal sentiero come se fosse stato inghiottito dagli alberi secolari che lo fiancheggiavano. Una profonda inquietudine si era impadronita di lui. Quella presenza tenebrosa e tuttavia affascinante lo aveva molto turbato. Si chiedeva quale potesse essere quel messaggio così importante. L’uomo aveva parlato al plurale. «Vi aspettiamo» aveva detto. Chi erano gli altri? Cosa avrebbe trovato nella casa di via Fiori Chiari, qualora avesse deciso di andarci?
Luciano si sentiva sempre più affamato. Il suo orologio segnava ormai le quattro del pomeriggio e il suo stomaco vuoto cominciava a emettere imbarazzanti gorgoglii. Rifece il percorso a ritroso, intenzionato a farsi indicare una trattoria dove poter mettere qualcosa sotto i denti… poi, a stomaco pieno, avrebbe deciso se recarsi o meno a quello strano appuntamento.


L'INGLESE CANTANDO

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di Albertina Fancetti, Franco Mercoli, Alighiero Nonnis, Mario Pace
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