La coda del drago 11

La seguii all’interno della villa osservando le varie stanze mentre andavamo attraversandole ma soprattutto ciò che avrei voluto attraversare a mia volta, vale a dire il bel corpo della ragazza. Poi ci fermammo sulla soglia di una grande stanza, sicuramente il fulcro dell’intera casa. Si trattava di un soggiorno riccamente arredato con tre divani, otto poltrone del medesimo prezioso materiale, e un grande tavolo di legno chiaroscuro con intorno una dozzina di sedie della stessa tipologia di legno.

- Si accomodi – invitò la ragazza. – Gradisce qualcosa da bere?

- No, grazie.

- Allora vado ad avvisare Luis.

Annuii con un gesto che voleva essere sia di ringraziamento sia di assenso. Lei uscì da una porta vetrata della sala. Mentre aspettavo, osservavo l’ambiente. E mentre osservavo il tutto: quadri, statuine, fotografie, posacenere di metallo prezioso, la mia attenzione si fissò su un trofeo. Si trattava di una statuina raffigurante un draghetto provvisto di una lunga coda. La statuetta era ritta sulle zampe posteriori e rivestita di una giacchetta da marinaretto, sul modello di quella di Paperino. Si trovava sulla sommità del mobile-bar, e anche da dove mi trovavo potevo vedere che il materiale di cui era composta era fatto di oro. Era un trofeo, perché Barlett: apprezzato attore di film destinati a un pubblico di bambini, aveva fatto la fortuna sua e dei produttori di questi film interpretando una decina di lungometraggi a colori dove il suo personaggio – pur variando di volta in volta – era sempre quello di un uomo simpatico e un po’ pasticcione che tramite intelligenza e fortuna riesce a cavarsela uscendo indenne da mille peripezie.

Mi alzai dalla poltrona nella quale mi trovavo seduto e mi avvicinai al mobile bar. Mi bastò allungare la mano per afferrare la piccola statua e avvicinarla al mio sguardo. 

La osservai con attenzione, perché sempre più colpito da un’idea. 

I miei occhi si soffermarono sulla coda, che percorsi con lo sguardo lentamente. E a un certo punto notai un particolare: verso l’estremità appuntita della coda, mancava una minuscola parte del rivestimento in oro.

Continuai a fissare l’oggetto, sempre con attenzione. Poi, presi una decisione. Quella di piazzare la statuina nella tasca della giacca e di avvicinarmi all’uscita, tramite la portafinestra lì presente. La mia auto era lì, per cui aprii la portiera e deposi l’oggetto sotto il plaid che occupava il sedile posteriore. Avevo appena richiuso la portiera che vidi tornare la ragazza.

- Mister Miller, sono spiacente, ma Luis se ne è andato senza che si presentasse a salutarmi. Ultimamente agisce in modo strano.

- Già, chi lo sa perché – commentai. – Non sarà perché la figlia è morta dopo essere stata massacrata da un pedofilo? Questo lo sapeva, vero?

- Certo, che lo sapevo. Una cosa orribile, che mette i brividi al solo pensarci.

- E forse è per questo che lei preferisce non pensarci – dissi. – Va bene, miss: me ne vado anch’io.

La ringrazio per avermi ricevuto e la saluto.

La giovane donna non rispose, limitandosi a guardarmi salire in auto. Manovrando con calma esteriore cercai di soffocare il tumulto interiore che avvertivo dentro di me. Quando fui uscito dalla proprietà di Barlett accelerai, fino a fermare in una stazione di servizio provvista di cabina telefonica, dove entrando formai il numero di Bill Howard.


Antonio Mecca

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