LA VITA È INASPETTATA - Life is unexpected III
- 09 settembre 2019 Cultura
Abbiamo iniziato sabato 7 agosto l’inserimento di un breve racconto che continueremo a pubblicare ogni giorno sempre alle ore 14:00. Ne seguiranno altri, senza distinzione di argomento, dal giallo al rosa, dal nero allo storico, dalla monografia al diario.
Tutti possono inviare un racconto - che la commissione incaricata esaminerà - e comunicheremo la nostra scelta e la data della pubblicazione all'autore.
Inviate il Vostro racconto a edbedizioni@ibero.it - redazione racconti.
I
giorni rimanenti sono un susseguirsi di piccole perle della memoria.
Stefano e io, entrambi discreti cuochi, che prepariamo cene ascoltando i
Kool & the gang. Cani che mangiano il cibo per gatti e gatti che
dormono nella cuccia del cane. Grigliate luculliane innaffiate da litri e
litri di alcolici dove alle 5 del mattino si è costretti a cacciar via
la gente.
Mira
che aiuta senza problemi il mediano dei figli di Stefano a svolgere i
compiti mentre io inseguo il più piccolo per convincerlo almeno ad
aprire il libro. Ancora io che, regolarmente, dopo le lavatrici non
trovo la metà dei vestiti e mi tocca ripescarli nei cassetti del figlio
più grande dato che abbiamo ormai la stessa taglia. E sempre il
sottoscritto, nei panni di cuoco all'ora di pranzo che sorride beato
nell’osservare i ragazzi mentre chiedono il bis o il tris di pasta, solo
perché cucinata da me.
L’ultima
sera arrivano gli altri amici per salutarmi; si mangia, si beve e si
ride ma non riesco a guardare il volto di Mira che cerca di continuo il
mio sguardo. A letto ci teniamo stretti e cerchiamo di farci coraggio
l’un l’altra. Uno sforzo inutile. L’idea che di lì a breve ci separeremo
è divenuta ormai il terzo incomodo.
Il
giorno successivo per me è difficile trattenere l’emozione; ho il più
piccolo in braccio e gli altri due mi cingono alla vita come per
trattenermi. Saluto Tiziana e mi soffermo ancora una volta ad ammirare
il suo angelico volto.
Stefano
è alla guida. Io gli sono seduto accanto. Mira è dietro che guarda
lontano, fuori dal finestrino. Nessuno proferisce parola.
Una
volta in stazione Stefano e io ci salutiamo con la commozione del primo
giorno. Mira mi accompagna al binario. Ci guardiamo negli occhi, ci
abbracciamo e ci baciamo teneramente. Lei, sempre forte e positiva, mi
ricorda che ci rivedremo presto eppure sentiamo entrambi che il dolore è
troppo grande da sopportare; dopo alcuni minuti le chiedo di tornare da
Stefano perché attendere la partenza del treno sarebbe troppo penoso.
Ma non riusciamo a separarci. Con uno sforzo titanico mi stacco da lei
dopo un ultimo bacio. La vedo allontanarsi: anche se di spalle, sono in
grado di vedere le lacrime solcarle il volto.
Io non piango. Non ci riesco mai. Ma ora vorrei farlo; magari mi sentirei meglio.
Il
viaggio di ritorno è un incubo. Il vivido sentore di aver lasciato
qualcosa di incompiuto non mi abbandona. Manca l’aria condizionata nella
tratta fino a Mestre e di fronte a me è seduto un adolescente posseduto
dal demone dello scaccolamento compulsivo; infila talmente a fondo le
dita nel naso da grattarsi il cervello.
Sono
a Milano. Il tipico odore di casa chiusa post vacanze mi assale non
appena metto dentro il piede. Dovrei disfare la valigia, fare un paio di
lavatrici e mangiare qualcosa ma non ho voglia di niente.
La
sera con Mira ci sentiamo per telefono ma è davvero troppo penoso per
il cuore e per l’anima. Quella notte dormo poco e male.
L’indomani
mi alzo presto e la mia immagine riflessa nello specchio del bagno mi
fa venir voglia di girare con un casco integrale. Comincio a riordinare
le idee per scrivere qualcosa; qualcosa di decente.
Fisso
lo schermo bianco. Le dita, immobili sulla tastiera, attendono invano
che il cervello comunichi loro come procedere. Dopo una serie di
interminabili minuti mi alzo di scatto imprecando e la sedia rovina
malamente sul pavimento. La sensazione che qualcosa sia rimasta
incompiuta si fa sempre più preponderante e non riesco a chetarmi. Mi
guardo attorno: i miei libri, i miei film e le mie cazzatine
antisociali. L’occhio cade su un libro che avevo cominciato a leggere
prima di partire: “Montaigne-L ’arte del vivere” di Sarah Bakwell”.
L’assurda vita di quel meraviglioso e folle filosofo mi scuote dalle
fondamenta. “Vai, vivi e non preoccuparti di nulla”. In una frazione di
secondo sono al telefono con Stefano che non si stupisce più di tanto
perché avvezzo alla mia eccentricità. Gli chiedo di mantenere il segreto
e di aspettarmi l’indomani. Prendo una valigia più piccola e vi butto
dentro i pochi vestiti ancora puliti che trovo in giro.
Mi
faccio di nuovo 500 chilometri; ancora senza aria condizionata. Il caro
amico mi attende in stazione con un sorriso sornione. Una volta alla
villa attendo dietro un angolo del giardino. Con un pretesto Stefano
chiede a Mira di andare a prendere qualcosa in taverna. Appena mi vede, i
suoi occhi si illuminano di un blu ancor più limpido. Si lancia tra le
mie braccia e la sento tremare. Percepisco il suo cuore sul mio petto
che corre alla velocità della Bora triestina. Tutto è immobile. Tutto è
sublime. Tutto è perfetto ancora una volta e per sempre.
Giunta
la sera, l’intera famiglia si reca a cena da amici regalandoci
premurosamente un po’ di tranquillità. Rimaniamo abbracciati sotto il
dehor per un tempo che assomiglia all'infinito. Ore dopo, quando
rincasano, siamo ancora lì e Stefano, di nascosto, ci fotografa da
dietro una finestra. Sa bene che andrà incontro alle mie rimostranze ma a
dir suo, non ha visto mai nulla di più dolce e delicato.
Abbiamo
un altro giorno davanti a noi e ne assaporiamo ogni singolo istante. La
sera prima della partenza, oltre ai numerosi regali, Tiziana e Stefano
donano a Mira anche una busta con scritto sopra “From Saint Petersburg
to Milan”. Le parole gentilezza e generosità andrebbero reinterpretate
al cospetto di questa meravigliosa coppia e tuttavia non sarebbero
ancora sufficienti a comprendere appieno un tale calore umano.
Il
29 agosto siamo in piedi alle 4:30. Da Ronchi dei Legionari Mira salirà
su un aereo mentre io su un treno. Aspetto che lei sparisca dietro i
controlli di sicurezza. Mi sento bene perché so che ci rivedremo presto.
La sensazione di incompletezza si è dissolta nel nulla.
È
l’alba. Sono in attesa alla piccola stazione e decido di scattare una
foto al sole che sorge. Due vite, divenute una, per il momento si
separano. Ma sarà una breve parentesi nella vita di ogni giorno. Io mi
recherò presto a San Pietroburgo e lei sta già organizzandosi per venire
a Milano. Saremo degli ottimi ciceroni, ognuno per la propria città.
La
nostra è forse una storia impossibile; lo sappiamo entrambi. Ma ora
come ora è l’unica storia che desideriamo e in cui crediamo. Invece di
preoccuparci degli eventuali problemi che potrebbero giungere in
seguito, preferiamo gioire del magnifico dono concessoci dalla
sorte. Eravamo simili ma incompleti. Ora siamo due persone che
condividono la stessa anima. Desideriamo unicamente stare insieme perché
ci amiamo. E questo ci rende più che forti. Ci rende invincibili.
Non
vi è una morale in questa particolare vicenda. Nessun insegnamento.
Nessun consiglio. Solo la cronaca fedele di questa singolare estate dove
ho riscoperto le meraviglie del vivere dopo che la vita mi aveva quasi
sconfitto. Spero solo si riveli essere di una qualche utilità a
qualcuno. Qualcuno che ancora non si è arreso ma magari sta pensando di
farlo.
Mentre
ai più cinici, ai più disillusi, ai maligni, ai saggi per circostanza o
a coloro che hanno perso la speranza posso solo riferire questo. Mira e
io non sappiamo dirvi del nostro futuro. Ma il nostro presente è
magnifico.
Life is unexpected.
Riccardo Rossetti
Domani un altro racconto