LE MIE VACANZE 5

Una delle cose che più mi colpirono dagli anni '60 agli anni '80 quando trascorrevo le due o tre settimane canoniche in Basilicata, furono i vecchi. Non credo ci sia altra parola per definirli, poiché quegli uomini - erano quasi sempre uomini - risultavano ai miei occhi di bambino prima e di ragazzo poi, davvero vecchissimi. Non tanto e non solo per le rughe che graffiavano la loro faccia, quanto per i movimenti rallentati, aiutati quasi sempre da un bastone che li faceva procedere lungo le strade del paese, spesso in declivio, e soprattutto del giardino comunale, che al Sud viene definito Villa, cioè campagna, e villani i contadini e i mandriani suoi abitanti. Passeggiando sotto le fronde dei sempreverdi, pini e cipressi, i vecchi uomini con giacca o soltanto camicia nel caldo intenso dell'estate torrida nel camminare facevano muovere la bocca proporzionalmente in maniera inversa al movimento delle gambe, quasi che queste riuscissero: pur nel loro movimento rallentato, a fornire energia alle corde vocali arrochite dal fumo e dagli anni. Contenti di essere ancora vivi, in compagnia di altri sopravvissuti, quei vecchi lucani rievocavano i loro ricordi, sballati da carte già molte volte esposte all'uditorio.
C'era poi la consueta pausa gioco ai tavolini in pietra posti sempre all'interno della Villa comunale, dove le carte volavano sul tavolo con un rumore secco di cartolina piazzata dai giovani di allora fra i raggi della bicicletta, un rumore che distanziava quello successivo come una scarica di mitraglietta destinata al colpo di grazia. Nelle loro case i vecchi uomini sapevano esserci le altrettanto vecchie mogli intente a sfacchinare per la pulizia dei locali, per la selezione degli ortaggi e dei legumi, per la preparazione del pranzo. Anche loro generalmente ex contadine, ma che il tempo aveva miracolosamente preservato vuoi perché avevano lavorato meno intensamente, vuoi perché più resistenti degli uomini nel fisico. Le Ville comunali di Rionero, di Atella, di Ripacandida erano battute dalle vecchie gambe degli uomini, che sembravano gli arrugginiti meccanismi di un orologio intento a segnare il tempo che aveva arrugginito gli uomini. Fra loro passavano anche persone più giovani o addirittura giovanissime, ragazze e ragazzi che la loro verde età faceva rilucere lo sguardo, i capelli, i denti.
I vecchi li guardavano con un misto di invidia e di ironia, perché nella loro saggezza sapevano che quella era una ruota che gira inesorabile. E che prima o poi anche loro avrebbero provato cosa vuol dire arrivare al capolinea, dove l'attesa era tutto ciò che potevano ottenere.ù
Antonio Mecca

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