MARZO

Racconto poliziesco di Macc Tony

Era lei ad avere bisogno di lui, non il contrario. Che si limitasse quindi a fornire consigli radiofonici; la chiacchiera non le mancava, sapeva essere convincente con gli altri e forse anche con se stessa. D’altronde Emanuele vuol dire “Dio con noi”, e questo lo faceva agire ancora più da padreterno

Ora che invece era tutto finito, che lo aveva appena visto ridotto a brandelli da un pazzo assassino, perché solo un pazzo poteva servirsi di un coltello in quella maniera, e l’orrore l’aveva pervasa tutta, non poteva ricordare di lui che le cose belle che pure c’erano state: il fascino da lui emanato, la gentilezza e la generosità che sapeva dimostrarle in varie occasioni. Lui aveva tredici anni più di lei, e quella differenza d’età lungi dal costituire un problema era stato il minimo comune denominatore che li aveva tenuti uniti per tanto tempo, o – come qualcuno invece insinuava – il minimo comune detonatore che spesso faceva esplodere la loro passione reciproca abbattendo le incomprensioni che li dividevano come mura quotidianamente innalzate fra loro.

Adesso si trovava al commissariato, in una stanza che era un ufficio, fra quattro uomini che erano inquirenti e attorniata da oggetti che le richiamavano alla mente quelli che quotidianamente utilizzava per il suo lavoro, che era per il settanta per cento costituito dalla lettura e per il rimanente trenta  dalla scrittura. C’erano due scrivanie di metallo con sopra posati due computer, dei fogli bianchi, dei portapenne in parte privi di penne e due telefoni fissi. L’unica differenza rispetto allo studio della sua casa era costituita dalle pareti, prive di libri e spoglie, nude come sempre la verità dovrebbe essere: privata anche della foglia di fico, baluardo inutile che non impedisce certo di coprire le vergogne che la verità spesso detiene. Se solo si è intenzionati nel volerlo fare. Un ritratto del presidente della repubblica in carica sembrava benedire l’ambiente, ma essendo il presidente un laico la cosa non aveva effetto alcuno.

Un uomo sulla sessantina che le ricordava suo padre così come era stato una quindicina di anni prima le rivolse un saluto, un lieve sorriso e un gesto della mano indicante una sedia.

- Si accomodi, signora Gamber. Creda, mi dispiace molto per quello che le è successo. Sono un suo

   lettore, e la stimo molto.

Clara sedette su una sedia di metallo, lasciando che il freddo dell’acciaio le si trasmettesse nel corpo, che in quel momento sentiva caldo, come scosso da febbre. Non disse nulla, perché nulla sentiva di dover dire.

L’uomo le si presentò.

- Mi chiamo Alberto Giannelli, sono il magistrato inquirente.

Le porse una mano dalle unghie perfettamente tagliate, quasi che la lama della spada della giustizia avesse  colpito più volte nei punti giusti accorciandole alla perfezione, quella giustizia reggente con l’altra mano una bilancia con la quale pesare meriti e demeriti e giudicare così l’imputato di turno. Clara Gamber gliela strinse, distrattamente. 

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