MARZO

Racconto poliziesco di Macc Tony

Al commissariato la donna rispose alle stesse domande che già le erano state rivolte da Cardona più a qualcun’altra di diverso tipo, mentre a qualche domanda da lei fatta a sua volta rispose il magistrato interessato al caso. E così, pensò il commissario, ecco un’altra unione che andava a sfasciarsi a carte quarantotto. Del motivo per il quale Emanuele Fardelli era stato brutalmente assassinato non se ne vedeva l’ombra. L’unica persona iscritta nel registro degli indagati rimaneva la giovane vedova, priva di alibi ma non di motivazioni. Sebbene dopo un’accurata perquisizione alla casa e all’auto di Clara nessun indizio venne trovato che potesse far supporre la sua effettiva partecipazione all’omicidio, Clara Gamber restava l’unica indiziata.

A quella vicenda stavano pensando in molti, tra questi lo scrittore Gabriele Capresi, l’anziano artista napoletano residente a Roma da mezzo secolo. Seduto sulla comoda poltrona del suo studio tappezzato di libri, che messi a barriera del mondo esterno ne assorbivano i rumori come i succhi gastrici i cibi inghiottiti aiutando a digerirli, Capresi meditava profondamente. I freddi suoni esterni si tramutavano in calde vibrazioni, e queste in note scritte come su un pentagramma e da lì in parole che l’intellettuale riversava in articoli di giornali poi raccolti in libri. L’intellettuale organico agiva proprio come un organo musicale; le calde vibrazioni sembravano emesse dalle canne di uno strumento ad aria e tramutate in suoni, in lettere scritte. Ogni tanto un’altra nota si inseriva: quella dell’apparecchio telefonico, dal quale rispondeva con voce carismatica, quella voce che trasformava in parole i pensieri generalmente trascritti su carta. Collaboratore del maggior quotidiano del Paese con articoli di costume che poi finivano per confluire in libri pubblicati dalla maggiore Casa Editrice nazionale, Capresi pensava a Clara Gamber e al marito, dispiacendosi per lei e inorridendo per lui, provando pena per la donna, vittima essa stessa dapprima del marito e poi della mala sorte che l’aveva invischiata in quella storia. 

Clara, a Gabriele era da subito piaciuta. A Capresi le donne erano sempre piaciute, ma non come a certi uomini che le considerano niente di più di oggetti sessuali, bambole del cui cervello si può fare tranquillamente a meno. Per lui invece erano sempre state molto di più di splendidi corpi da ammirare. Lui in loro vedeva effettivamente l’altra metà del cielo, e il loro modo di pensare, di agire, di intuire spesso lo riempivano di ammirazione o di stupore. Anche Clara lo aveva colpito. La sua dolcezza, la sua bellezza di tipo un po’ orientale, lo sguardo di una sensibilità accesa come da un desiderio di amore non corrisposto con la sua grande cultura e il talento mediante il quale scriveva i suoi libri, i suoi articoli e le consentiva di parlare in radio e in televisione sempre pronunciando il motto giusto al momento giusto gliela avevano resa molto cara. Sapeva che veniva regolarmente tradita dal marito, un uomo non meno di talento della moglie, simpatico anche, ma che a differenza di lei non possedeva la medesima sensibilità e onestà tranne – forse – l’onestà intellettuale. Gli dispiaceva per quanto la ragazza stesse passando, e per l’ombra di sospetto che ne copriva la rispettabilità come l’ombra di una barba rasa male e pronta a riempire dei suoi peli ispidi la bella faccia che la ospitava. Era convinto che lei non c’entrasse per niente, in quella faccenda, ma allora chi poteva essere stato?

Poi, all’improvviso, gli tornò in mente l’uomo che un mese prima era venuto a fargli visita.


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