MARZO

Racconto poliziesco di Macc Tony

Aspettando che il portinaio avvisasse l’illustre inquilino, Cardona si guardò intorno. 

Il palazzo dove lo scrittore abitava era situato in una piazzetta collocata tra corso Vittorio Emanuele e via del Corso. Si trattava di un edificio ottocentesco o di stampo tale, che pareva essere fuoriuscito appunto da una stampa ottocentesca logorata dal trascorrere del tempo. Molti vecchi palazzi avevano ancora il loro intonaco originario  - in questo caso, colore del ferro arrugginito – e pur meno belli perché meno vistosi di quelli restaurati conservavano proprio per questo tutto il malinconico fascino di un’epoca ormai lontana nella memoria. Un altro palazzo: questo qui famoso, Palazzo Venezia, era lì vicino, marrone come fango essiccato sul corpo di un paziente che ne fa la cura: il Duce dei bei tempi andati, belli proprio perché ormai andati.

- Il dottor Capresi l’aspetta – disse il portinaio. – Abita al quinto piano; l’ascensore è in fondo a destra.

Il poliziotto seguì le indicazioni ricevute e salì su una vecchia cabina di legno che ricevette il suo peso scricchiolando come una vecchia carrozza dalle molle arrugginite. Giunto sul pianerottolo del quinto piano si trovò fra due porte di altrettanti appartamenti, una delle quali socchiusa. 

Di lì a poco la porta si aprì completamente, e un uomo apparve inquadrato sulla soglia, come una vecchia tela inquadrata da una cornice più recente. L’uomo aveva un viso che ricordava nei lineamenti quelli di un ippocampo, quasi l’acqua marina dove per anni si era tuffato nel golfo di Napoli fino spesso ad esplorarne i fondali sommersi, ne avesse in parte trasfigurato l’umano viso in quello di una creatura del mare, un cavalluccio marino appunto,che insieme a centinaia di altri suoi piccoli compagni fosse adibito nel trainare il carro sul quale il dio Nettuno usa percorrere le profondità del mare.

- Buongiorno – salutò il poliziotto con un sorriso. – Commissario Cardona.

L’anziano scrittore gli tese la mano. I due uomini se la strinsero.

- Entri, si accomodi – invitò Capresi facendosi di lato affinché l’ospite potesse entrare.

Era, la stanza, un minisoggiorno che a Cardona, perlomeno in quanto a dimensioni, ricordò la suite di un albergo. Un paio di poltrone ai lati opposti di un tavolino di legno, così come di legno era il pavimento e il soffitto. Le pareti  tappezzate in stoffa rosso pompeiano, attraversata da fregi dorati come gli anni in cui lo scrittore ancora poteva fregiarsi di essere giovane e ancora abitava a Napoli. Di quegli anni di esistenza modesta fino a rasentare la povertà lui ricordava più che altro la grande libertà che solo quella città, e solo in quell’epoca, era in grado di offrire per meno far soffrire. E poi la luce, la luce che immergeva la città intera in riflessi d’acquario, quasi l’antica sirena Partenope che aveva dato il suo nome agli originari insediamenti fosse tornata, distribuendo il tocco magico degli Dei che l’avevano generata. Si ricordava spesso di quei tempi omerici, soprattutto quando camminava cautamente per le strade della città altrettanto antica che da decenni lo ospitava. Talvolta si sorprendeva nel fissare ed ammirare la bellezza di ragazze che parevano provenire dal tempo delle sirene anche loro, e come l’oro di un tesoro sommerso rilucere. Talvolta non si rendeva conto di essere ormai vecchio di corpo anche se non ancora di mente e di anima, e che per questo non c’era nulla da fare.


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