MARZO

Racconto poliziesco di Macc Tony

Entrarono in un grande soggiorno dalle pareti tappezzate di verde chiaro là dove ancora se ne poteva scorgere il tessuto, perché per la quasi totalità era occultato da scaffali di libri che ne coprivano le pareti. I due uomini sedettero l’uno all’estremità di un divano marrone, l’altro: il visitatore, su una poltrona della medesima stoffa e colore.

Dalla stanza accanto proveniva il suono di una radio o di uno stereo che trasmetteva una canzone americana, il volume tenuto basso ma non troppo perché il padrone di casa tanto non sentiva granché bene, per cui non si correva il rischio di procurargli fastidio. Una foto a colori risalente agli anni ’70 mostrava la bella moglie dello scrittore, ai tempi sulla quarantina, in un sorriso smagliante. Cardona prima di recarsi dallo scrittore aveva valutato con quale titolo appellarlo.

Signore, gli era parso troppo generico, o troppo alto. Dottore, era in genere l’appellativo che davano a lui in questura. Maestro, invece, poteva andare perché Gabriele Capresi poteva benissimo venire considerato un Maestro della letteratura, e questo da parecchi decenni. Il commissario aveva letto diversi suoi libri, e tutti in genere gli erano piaciuti per la mescolanza di competenza storica, di ricordi rievocati con uno stile pulito e non ridondante, e per la leggera malinconia che ne pervadeva la narrazione.

- Vi ho telefonato – esordì il Maestro, - per l’assassinio di Emanuele Fardelli. Sono rimasto sconvolto da quel delitto e da ciò che di conseguenza è capitato alla moglie, che risulta essere ancora inscritta nel registro degli indagati, vero? Cardona confermò. Lo scrittore continuò.

- Ripensando a lei molte volte, mi è tornato alla mente un episodio che forse non vuole dire granché, ma forse invece sì, per cui vorrei parlarvene.

Capresi raccontò della visita ricevuta un mese prima – gli pareva di sabato – da parte di un uomo proveniente dal Nord Italia, forse da Milano. Doveva scusarlo, disse al poliziotto, ma aveva superato i novant’anni e la memoria non sempre era affidabile. Cardona annuì, comprensivo.

A un certo punto avevano parlato di Clara Gamber.

- Sapeva di una intervista che le avevo concesso due anni fa, e io gli avevo detto che lei si era presentata con il marito regista e un cameraman. In seguito sarebbero state inserite immagini sulla mia intervista tratte da film ai quali avevo collaborato in fase di sceneggiatura, oppure della mia città di origine. Solo che poi ho aggiunto qualcosa di cui adesso mi pento.

Tacque, e il commissario ne rispettò il silenzio. Lo scrittore riprese il racconto.

- Avevo notato che lui era molto interessato a Clara, che mi aveva detto di avere incontrato a Torino, negli studi Rai quando lei era lì impegnata nella trasmissione che a quei tempi conduceva, incentrata sui libri e sulla lingua italiana. A un certo punto, parlando di suo marito, le avevo confidato che lui la tradiva. Tacque, e nuovamente Cardona aspettò, pensando che avrebbe fatto meglio a tacere quella volta, quando si era trovato a tu per tu con un perfetto sconosciuto che poteva benissimo essere imperfetto in qualcosa d’altro.

- L’uomo non mi è sembrato particolarmente colpito da quella mia confidenza – riprese, - e dopo avere discusso ancora un po’ di altri scrittori, tra i quali Giuseppe Marotta e Anna Maria Ortese, entrambi miei compaesani, se ne andò. E da allora non ci ho più pensato fino a quando pochi giorni fa mi è ritornato alla memoria.

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