Mercato del Lavoro News n. 125
- 02 aprile 2022 Cultura

Il lavoro di qualità lo creano solo le politiche attive del lavoro
Il Rapporto Occupati-Disoccupati pubblicato il 31 Marzo dall’ISTAT con i dati aggiornati a Febbraio non mostra particolari novità rispetto a quello del mese precedente (vedi https://www.
Tuttavia il Sindacato ha commentato questi dati muovendo alcune obiezioni, che meritano di essere commentate.
La prima è che questi dati mostrano una crescita impetuosa dei rapporti di lavoro a termine: “abbiamo circa 3,2 milioni di occupati dipendenti a termine con un trend in forte crescita mese su mese, a tutto danno della stabilità lavorativa che si mostra, viceversa, in calo”. Ma i numeri dicono un’altra cosa: i tempi determinati sono il 13,84% ed erano il 13,15% a fine del 2019, prima dell’inizio della crisi covid. Come si vede un aumento molto modesto… Invece la dinamica dei contratti stabili/a termine può essere meglio capita se invece di guardare solo ai dati di stock comunicati da ISTAT teniamo anche conto dei dati di flusso (assunzioni-cessazioni) comunicati per lo stesso periodo da Ministero, ANPAL e Bankitalia.
Allora vediamo che nel trimestre dicembre ‘21/febbraio ’22 per quanto concerne i contratti a termine il saldo tra avviamenti al lavoro e cessazioni è negativo: meno 14.000, tenendo conto delle trasformazioni da tempo determinato a contratto stabile (circa 79.000). Mentre per i contratti a tempo indeterminato c’è un saldo positivo importante: oltre 45.000, determinato da 262.000 nuove assunzioni, 105.000 trasformazioni in contratti stabili di rapporti a termine e di apprendistato, e da 323.000 cessazioni. Vale la pena fare due osservazioni: le cessazioni sembrano alte ma in realtà sono allo stesso livello del Febbraio 2020 (pre crisi) e comunque incorporano tutti quei licenziamenti economici che erano stati congelati per tutto il 2021. Ma soprattutto va correttamente valutato il dato delle trasformazioni da tempo determinato e apprendistato in contratto a tempo indeterminato, mai così alto dal 2019. Il che è un indicatore evidente di stabilizzazione dell’occupazione: esattamente il contrario della precarizzazione! O, per dirla in modo che sia facilmente compresa, le assunzioni a termine sono alte ma tendono a trasformarsi in contratti stabili e non a sostituirli.
Un argomento presentato dai sindacati è quello per cui l’accesso dei giovani al lavoro (visto che, nonostante tutto, l’occupazione giovanile sale) avverrebbe tramite contratti precari. Ma questa affermazione andrebbe verificata con dati oggettivi e non originati dal “comune sentire”. E comunque per un’analisi seria della questione (che ci riserviamo di svolgere in un prossimo report) è indispensabile prendere in considerazione il fenomeno del mismatch (mancato incontro tra offerta e domanda di lavoro) che ne è alla base.
Se esaminiamo i flussi di assunzioni/cessazioni suddividendoli per comparti produttivi vediamo che il comparto dei servizi (in particolare commercio e turismo) ha l’unico saldo negativo per quanto concerne i contratti a termine: il che è indicativo di un’organizzazione del lavoro che cerca personale non specializzato, fungibile e occasionale. Evidentemente è diverso il clima del comparto manifatturiero o delle costruzioni, dove più spesso i contratti a termine vengono stabilizzati. Ma soprattutto questi dati dovrebbero indurre il sindacato a riflettere su come intervenire rispetto al fatto che mediamente ogni mese le aziende non riescono ad assumere 300.000 lavoratori per mancanza di candidature o (meno spesso) di profili professionali richiesti. Che è poi la risposta alla questione della “qualità del lavoro” che il sindacato pone sempre in alternativa ai contratti a termine poveri di salari e competenze.
Su questo tema però le proposte latitano. Il problema di una scuola che invece di formare vive in un mondo tutto suo non è preso in considerazione, e quando parla di scuola il sindacato lo fa solo per solidarizzare con gli slogan più fantasiosi degli studenti (alternativa scuola-lavoro = sfruttamento e omicidio, ecc.) o farsi carico delle rivendicazioni degli insegnanti precari, che alla scuola chiedono soltanto la propria stabilizzazione. Quando si parla di politiche del lavoro il sindacato è puntuale e determinato nel rivendicare quelle passive (integrazioni al reddito, blocco dei licenziamenti, rafforzamento dei sussidi di disoccupazione) ma del tutto assente nel dibattito sulle politiche attive: l’occasione del Recovery Plan e degli interventi che prevede in materia non suscitano alcun particolare dibattito. Piani come il GOL ( Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori) e provvedimenti come il Fondo Nuove Competenze non sollecitano interventi di merito, proposte, confronto. Il massimo che si è ricavato finora è la rivendicazione di stabilizzare i “navigators”, che per ragioni oggettive hanno dato modesti risultati (molti alla fine avranno collocato fondamentalmente se stessi). Disegnare un sistema di servizi al lavoro non puramente amministrativo, ottimizzare le risorse e le esperienze, coinvolgere le Agenzie per il Lavoro, costruire un sistema di formazione continua capace di intercettare i bisogni reali, un sistema informativo che consenta un governo razionale dell’incontro domanda-offerta. Questo è ciò che serve al nostro mercato del lavoro per fare quel salto che ci permetta di avvicinare le medie europee e di creare lavoro qualificato per quei giovani e quelle donne che oggi sono penalizzati da lavori a termine non voluti, part time involontari, sottoccupazione.
Purtroppo però nel sindacato (con qualche eccezione: penso per esempio al dibattito precongressuale della FIM CISL) sembra ancora prevalere il riflesso pavloviano per cui il lavoro di qualità si crea vietando per legge quello dequalificato, così come i contratti a tempo indeterminato si incrementano impedendo per via legislativa quelli a termine.
(A cura di Claudio Negro)
Milano, 1.04.2022