MONTANELLI GIORNALISTA E SCRITTORE

In questo disgraziato 2021 ricorre il ventennale di un'altra disgrazia: quella relativa alla morte di Indro Montanelli, un maestro del giornalismo italiano, uno scrittore che in oltre 70 anni ha saputo mettere a nudo il potere vigente ma non per sempre vincente il quale spesso usa mascherarsi dietro una semplice foglia di fico. A pensare di tesserne l'elogio è stato Marco Travaglio con il volume "Indro. Il 900, racconti e immagini di una vita straordinaria", un libro di quasi 300 pagine intessute degli scritti di Montanelli e di Travaglio, che ne stila con stile la biografia, sempre rispettoso di quello che fu il suo primo, grande e unico maestro. Travaglio, che nelle sue apparizioni televisive non si può certo definire simpatico sebbene questo scettro lo impugni più saldamente ancora Andrea Scanzi, ripercorre la biografia di Montanelli, nato a Fucecchio in provincia di Firenze nel 1909, vissuto a Rieti prima e a Roma poi e quindi a Milano. I vari traslochi da un giornale all'altro, per poi approdare al "Corriere della Sera" prima, a "Il Giornale" poi, e infine nuovamente al Corriere, negli ultimi sei anni di una vita che si concluse a 92 anni ma che per l'intensità con la quale fu vissuta si può dire che gli anni furono perlomeno il doppio, infittiti da incontri grandi e grandiosi: Longanesi, Maccari, Mussolini, Ansaldo, Guareschi, e poi di fatti e misfatti comprendenti la impietosa descrizione dell'editore Giangiacomo Feltrinelli, morto dilaniato da un'esplosione in cima a un traliccio di Segrate nel 1972. Quello che colpiva e colpisce in Montanelli è prima di tutto lo stile, perpetuato in migliaia di articoli nonché in libri di storia fra i quali ultimi in ordine di ristampa c'è anche la bella biografia di Dante Alighieri uscita nel 1964 e ristampata più volte. Quest'anno, trovandomi a Roma per qualche giorno, mi sono recato nella libreria antiquaria sita nella galleria Esedra, che si trova come indicato dal nome nei pressi della bella piazza ottocentesca di piazza Esedra ora piazza della Repubblica, e qui mi è capitato di trovare due bei libri: "La strega e il capitano", di Leonardo Sciascia, e "Giorno di festa", di Indro Montanelli. Quest'ultimo venne pubblicato nel 1939, mese di maggio, e ristampato tre mesi dopo: agosto, per poi uscire in una terza edizione (quella in mio possesso) il 12 dicembre 1942. Montanelli aveva trent'anni esatti quando lo pubblicò la prima volta, e una mano già sicura perché affinata e raffinata dalla stesura di moltissimi articoli nonché reportage. Il romanzo descrive la caduta di una famiglia nobile per mancanza di denaro, per cui la casa dove hanno da sempre vissuto verrà rilevata da arricchiti di fresco, i quali rappresentano la linfa vitale immessa nella nuova società italiana, nuova ma non per questo migliore. Questa vicenda segue quella in parte simile di "Mastro Don Gesualdo" apparso esattamente cinquant'anni prima, nel 1889, e precede quella de "Il Gattopardo", apparsa 19 anni dopo, nel 1958, un anno dopo la morte del suo autore: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il quale non poté vederne la pubblicazione né constatarne il successo per via della stupidità di esaminatori ottusi e prevenuti. "Giorno di festa" è meno efficace dei due grandi romanzi dei due scrittori siciliani, ma resta pur sempre una lettura piacevole da affrontare perché scritta con uno stile brillante che ne rende la lettura interessante e arrende ad essa l'attenzione dei lettori, resa ancora più intrigante per il fatto di essere ambientata in un lontano passato, a metà degli anni Trenta, nel 1935. Così come trentacinque anni furono: dal 1938 al 1973, gli anni passati da Montanelli al Corriere. Poi, giunto "Nel mezzo del cammin di nostra vita", ritrovandosi nella selva oscura che il più importante giornale italiano aveva imboccato, Indro preferì lasciarlo per fondare un nuovo quotidiano: "Il Giornale", che però durerà purtroppo per lui e forse anche per noi vent'anni soltanto.
Antonio Mecca

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