NON CANCELLIAMO LA NOSTRA MEMORIA
- 27 gennaio 2020 Cultura
Ascoltiamo i testimoni e leggiamo le loro opere
L'editore Mondadori ha ristampato
"Sopravvissuta ad Auschwitz", che raccoglie la testimonianza
autobiografica di Liliana Segre ed è a cura della giornalista Emanuela
Zuccalà. La prima edizione dell'opera risale al 2013, e fece conoscere a
molti italiani le sofferenze patite non solo da una ragazzina di 13
anni, ma anche da tantissime persone, colpevoli solo di essere di etnia
ebrea.
Nata a Milano il 10 settembre 1930, Liliana dopo un tentativo di
fuga in Svizzera insieme al padre Alberto, respinti dalla polizia
elvetica, furono costretti a rientrare in Italia dove il giorno dopo
vennero arrestati e imprigionati nel Nord Italia. Dopo varie settimane
di prigionia furono fatti salire insieme ad altri esseri umani su un
treno in partenza dal famigerato binario 21 sito nei sotterranei della
stazione Centrale di Milano e condotti nel macabro campo di
concentramento polacco di Auschwitz. Alberto fu subito portato nella
camera a gas e Liliana impiegata a lavorare nella fabbrica di munizioni
gestita dai nazisti. Per tre volte dovette passare l'esame che le
avrebbe consentito di continuare a lavorare e quindi a vivere, o meglio
a sopravvivere. Perché privata della quantità di cibo sufficiente a che
un corpo potesse vivere degnamente, mangiando solo una minestra disgustosa
che però veniva contesa dai prigionieri per poter continuare a
sopravvivere. E tutto questo sotto le continue ingiurie dei loro
aguzzini. La ragazzina rimase prigioniera dal febbraio 1944 all'aprile
1945, a cavallo dell'età fra i 13 e i 14 anni. Liliana, priva di padre
nonché di madre (perduta quando ancora aveva un anno di vita), fu
liberata il primo maggio dagli americani e dovette restare altri
quattro mesi fino a quando il 31 agosto del 1945 poté fare ritorno in
Italia e nella sua Milano.
Qui riprese la scuola e a vivere più o
meno normalmente accolta dai nonni materni cercando di raccontare il
meno possibile delle sofferenze ricevute, anche perché molte persone non
erano in grado di capire e contrapponevano la loro esperienza di
privazioni in città a quella passata in un campo di concentramento come
se poi fosse la medesima cosa.
Liliana
cercò di non raccontare più le sofferenze patite, e questo fino al
1990, quando intorno ai sessant'anni, ormai sposata e madre di tre
figli, prese a parlare in pubblico della sua terribile esperienza
perché sentiva di doverlo non solo a se stessa, a quella ragazzina che
era stata, ma anche ai milioni di persone che come lei l'avevano subìta.
E tutto questo in virtù di un uomo e di tante altre persone che
condividevano con lui l'odio per gli ebrei. In questi trent'anni la
senatrice Liliana Segre ha parlato a migliaia di persone, soprattutto
giovani, narrando ciò che aveva visto e vissuto, sempre con voce
pacata.
Bisogna stare attenti a far sì che la democrazia continui a
esistere, perché certi fenomeni che inizialmente ci sembrano quasi
comici possono finire per degenerare fino a voler riproporre ciò che già
abbiamo visto e vissuto.
Ecco perché è necessario leggere vari libri
sull'argomento, di cui questo "Sopravvissuta ad Auschwitz" rappresenta
uno degli esempi migliori.
Antonio Mecca