Perle di finanza

Se il Covid dà la febbre da debito

di Folco Portinari*

Cari lettori di VivereMilano, auguri! L'anno nuovo è iniziato all'insegna del Covid. E non poteva essere altrimenti. Da 10 mesi viviamo sotto questa cappa: c'è chi ha perso persone care, chi è stato male, chi è in difficoltà economica. Tutti, ma proprio tutti, abbiamo dovuto rivoluzionare il nostro modo di vivere. Chiusi in casa, con la mascherina e gli igienizzanti per le mani sempre pronti.
La buona notizia è che le vaccinazioni sono iniziate. Pur tra mille polemiche ma sono iniziate. Questo è stato un vero miracolo: mediamente per la ricerca e il lancio di un nuovo vaccino ci vogliono tra i due e i dieci anni. Quello per l'Aids ancora non è stato trovato. Nel caso del Covid-19, invece, già molti sono i vaccini pronti o quasi pronti. Vedrete, dopo queste polemiche iniziali, la campagna di vaccini decollerà.
In questa rubrica di Capodanno, voglio invece affrontare un problema che scoppierà tra qualche mese: l'innalzamento del debito pubblico italiano causato dalle misure anti-Covid negli ultimi mesi, ma determinate anche  da scelte non oculate di finanza pubblica nei 12 anni precedenti.
Nel 2007, ai tempi del Secondo governo Prodi e grazie all'azione dello scomparso Ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, il debito era sceso al 103% del Pil: 1.600 miliardi di debito a fronte di circa 1.550 miliardi di Prodotto interno lordo. Da quel momento, anche per colpa della contrazione del Pil, quel rapporto è andato peggiorando. Sino al 135% di inizio 2019.
La contrazione cioè la discesa del Pil è un fattore importante: il rapporto debito/pil è infatti un rapporto dove "sopra", al numeratore, c'è il debito; "sotto", al denominatore, il Pil. Quindi il rapporto può peggiorare (salire) non solo per l'aumento dei titoli del debito pubblico italiani in circolazione, ma anche per la diminuzione del Pil.
In sintesi: tra il virtuoso 2007 e la fine del 2018, l'andamento dei due numeri ha portato a un notevole peggioramento: dal 103 al 135%, appunto. Con ciò creando non poche difficoltà a chi deve gestire il bilancio pubblico e di fatto causando una contrazione degli investimenti, fattore invece di crescita e posti di lavoro.
Tutte le misure per arginare il Covid e impedire licenziamenti, dare ristoro alle categorie economiche e preparare il rilancio, hanno fatto il resto nel corso del 2019, facendo arrivare il famigerato rapporto a sfiorare il 160% a fine dicembre (circa 2.600 miliardi lo stock del debito). Ma come disse l'ex Presidente della BCE all'inizio della pandemia, non si poteva fare altrimenti: occorreva indebitarsi, per evitare il crack dell'economia e il caos sociale.
La finanza pubblica italiana adesso ha la febbre altissima. Ma si può curare: occorrono politiche economiche adeguate e serie, che agiscano su due fronti. Primo: rendere credibile agli occhi degli investitori internazionali lo Stato Italia e il percorso di risanamento: solo così questi investitori continueranno a comprare i titoli pubblici tricolori. Secondo: stimolare gli investimenti pubblici e privati. Solo grazie a un impulso degli investimenti si creano posti di lavoro, benessere e ricchezza. Come dimostra la storia dell'Italia degli anni '50 e '60.


*Un attento osservatore dei fatti economici dei nostri tempi si cela dietro il nom de plume del banchiere fiorentino del XIII secolo, padre di Beatrice, musa ispiratrice di Dante Alighieri

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